Quotidiano Sanità



05/10/2017
Operatori sanita' privata
Contratto da dipendenti
Operatori sanità privata devono avere contratto da dipendenti. Zingaretti firma il decreto per stabilizzazione precari Il provvedimento riguarda il personale con qualifica di infermiere, ostetrica, educatore professionale, terapista della riabilitazione-fisioterapista, tecnici sanitari, operatori sociosanitari e figure equivalenti a diretto contatto con il paziente. Entro il 30 novembre 2017 dovrà essere regolarizzato il 75% del personale in servizio, entro il 31 dicembre 2018 questa percentuale deve essere portata all’80%. La bozza del decreto 05 OTT - E’ stato firmato oggi dal Presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti un decreto che, come afferma la Regione stessa in una nota, “riporta regole certe per quanto riguarda i contratti di lavoro del personale sanitario operante nelle strutture accreditate. In sostanza le strutture interessate dovranno adeguarsi alle nuove diposizioni applicando il principio secondo il quale il personale in servizio deve essere assunto con rapporto di lavoro di dipendenza, regolato dai contratti nazionali”.   La norma punta a superare situazioni di precariato e di lavoro atipiche (interinale, esternalizzazioni) per il personale addetto ai malati. Il provvedimento riguarda il personale con qualifica di infermiere, ostetrica, educatore professionale, terapista della riabilitazione - fisioterapista, tecnici sanitari, operatori sociosanitari e figure equivalenti a diretto contatto con il paziente. Quanto previsto dal decreto firmato dal presidente Zingaretti, riferisce la nota regionale, “è frutto di un accordo con i sindacati Cgil, Cisl e Uil e con le rappresentanze della sanità privata Aris e Aiop”. Il percorso indicato dall’atto sarà graduale. Entro il 30 novembre 2017 dovrà essere regolarizzato il 75% del personale in servizio, entro il 31 dicembre 2018 questa percentuale deve essere portata all’80%.   “Si tratta – spiega il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti - di un atto storico con il quale la Regione Lazio, modificando e integrando l’attuale disciplina dell’accreditamento delle strutture sanitarie, inserisce quale condizione essenziale la contrattualizzazione a tempo indeterminato del personale sanitario in servizio presso la struttura stessa. Dopo la stabilizzazione dei precari della sanità pubblica, scriviamo un’altra pagina importantissima della sanità laziale che porterà certezze per migliaia di lavoratori e una crescita della qualità dei servizi erogati. In questi anni abbiamo compiuto uno sforzo enorme per risanare i conti, tagliare gli sprechi, riorganizzare al meglio le aziende sanitarie, ma soprattutto abbiamo puntato sul capitale umano, sbloccando il turn over prima e poi autorizzando la più grande stabilizzazione dei precari della storia della nostra regione”. “Questo decreto – conclude il governatore - è un altro punto fermo della nostra rivoluzione. Ringrazio infine le organizzazioni sindacali e datoriali per la disponibilità dimostrata.”F Fonte.www.quotidianosanita'.it
Quotidiano Sanità



04/10/2017
Aris
Scuola e sgravi fiscali
Salute. Aris: materia insegnata a scuola e sgravi fiscali per l'assistenza integrativa Alessia Guerrieri sabato 30 settembre 2017 L'associazione propone di spingere sulla prevenzione prevedendo come materia di studio la salute e chiede che la sanità integrativa non sia solo cura d'elite A scuola educazione alla salute e sgravi fiscali per l'assistenza integrativa per sostenere la politica dei Lea. È questa la proposta lanciata dall'Aris (Associazione religiosa istituti socio-sanitari) al Forum della Salute 2017 alla Leopolda di Firenze, nel corso della tavola rotonda a cui hanno partecipato tra gli altri Tonino Aceti, Luigi D’Ambrosio Lettieri, Fernanda Gellona, Enrique Hausermann, Angelo Lino Del Favero, Mario Marazziti, Rosanna Massarenti, Paolo Petralia, Walter Ricciardi, Francesco Ripa di Meana, Stefania Saccardi, Vincenzo Schiavone, Marco Vecchietti, Sergio Venturi. «È ora che la sanità sia materia di studio nelle scuole, nell’ottica di un forte impegno educativo-sanitario il cui obiettivo primario sia la prevenzione», perciò propone Padre Virgino Bebber, presidente dell’associazione che riunisce oltre 240 significative istituzioni sanitarie gestite da religiosi. «Non è pensabile - ha detto infatti – che questa materia sia lasciata in mano unicamente ai mass media, ad internet e a google». Se da un lato questi sono sicuramente strumenti molto utili, «dall’altro però spingono ad un consumismo sanitario smodato e spesso inappropriato, se non addirittura deleterio». Perciò è fondamentale che all’interno del percorso Lea sia stata prevista un’azione di prevenzione significativa, ma tutto questo dovrebbe essere accompagnato da un forte impegno educativo-sanitario, che parta proprio dal percorso scolastico. «Serve insomma un’adeguata informazione su quello che è la salute e su quelli che sono i mezzi giusti per mantenerla - ha aggiunto - Meno ci si ammala o più tardi si comincia a dover prendere medicine, più la comunità, cioè tutti noi, risparmia e soprattutto è possibile assistere più persone». Il presidente dell’Aris è inoltre intervenuto sulla questione della sanità integrativa. Va bene, ha convenuto, «a patto che non si limiti a coprire una medicina curativa d'elite, interventi chirurgici ad alto impatto tecnologico, o, in alternativa, percorsi di medicina preventiva che comportino costanti accessi a strutture sanitarie dietro pagamento», se non addirittura a soddisfare le esigenze di chi cerca, nel momento del ricovero, anche un certo comfort di tipo alberghiero. L'auspicio di Bebber, invece, è che si lavori per «una sanità integrativa che possa esserlo effettivamente», e quindi, fermo restando il ruolo imprescindibile del Ssn, offra la possibilità a tutti di accedere a prestazioni sanitarie e socio-sanitarie di alto livello, anche attraverso strutture non profit, inserendo nelle proprie coperture le cure a lungo termine più onerose, così da rientrare in un quadro di assistenza di tipo solidaristico e universale. «Lo Stato - la sua conclusione - potrebbe pensare di sostenere questo percorso magari attraverso sconti fiscali. Il rischio da evitare è che si contrappongano una sanità di serie B, quella pubblica, e una sanità di serie A, quella che può garantirsi il privato con disponibilità economiche». Fonte.www.avvenire.it
Quotidiano Sanità



04/10/2017
Oms
Anziani
Anziani: le nuove linee guida Oms. Meno acuzie e più assistenza domiciliare. E poi attenzione a dolore cronico, udito e vista "Entro il 2050, 1 su 5 persone al mondo sarà oltre i 60 anni", ricorda Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell'Oms. "Il nostro obiettivo è garantire che tutti possano ottenere i servizi sanitari necessari, ovunque vivano".  In un sondaggio su 11 paesi ad alto reddito, fino al 41% degli adulti più anziani (età ≥65 anni) ha riferito problemi di coordinamento della cura negli ultimi due anni. Le nuove linee guida dell'Oms sulla cura integrata per le persone anziane suggeriscono che i servizi basati sulla comunità possono aiutare a prevenire, rallentare o invertire i declini delle capacità fisiche e mentali tra le persone anziane. LE LINEE GUIDA PER LA CURA AGLI ANZIANI. 01 OTT - Nella Giornata internazionale della persona anziana - 1 ottobre - l’Oms chiede un nuovo approccio per la fornitura di servizi sanitari per i più anziani, sottolinea il ruolo dell'assistenza primaria e il contributo della comunità che i professionisti sanitari possono dare per mantenere più anziani la salute più a lungo. L'Organizzazione sottolinea inoltre l'importanza di integrare i servizi per condizioni diverse. "Entro il 2050, 1 su 5 persone al mondo sarà oltre i 60 anni", afferma Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell'Oms. "Il nostro obiettivo è garantire che tutte le persone anziane possano ottenere i servizi sanitari necessari, ovunque vivano". Tuttavia, anche nei paesi più ricchi le persone anziane potrebbero non avere i servizi integrati necessari. In un sondaggio su 11 paesi ad alto reddito, fino al 41% degli adulti più anziani (età ≥65 anni) ha riferito problemi di coordinamento della cura negli ultimi due anni. Le nuove linee guida dell'Oms sulla cura integrata per le persone anziane suggeriscono che i servizi basati sulla comunità possono aiutare a prevenire, rallentare o invertire i declini delle capacità fisiche e mentali tra le persone anziane. Le linee guida invitano anche chi fornisce assistenza sanitaria e sociale a coordinare i servizi sulle esigenze degli anziani attraverso approcci come piani di valutazione e cura completi.   "I sistemi sanitari del mondo non sono pronti per le popolazioni più anziane", spiega John Beard, direttore del Dipartimento di Aging and Life presso l'Oms. "Tutti, a tutti i livelli di salute e assistenza sociale, da chi assiste in prima linea fino ai leader senior, hanno un ruolo da svolgere per contribuire a migliorare la salute delle persone anziane. Le nuove linee guida dell'Oms forniscono le indicazioni per chi si occupa di assistenza primaria per mettere le esigenze globali di persone anziane, non solo le malattie, al centro dell’assistenza ". Gli adulti più anziani hanno maggiori probabilità di condizioni croniche e spesso multiple. Tuttavia, i sistemi sanitari di oggi si concentrano generalmente sulla rilevazione e il trattamento delle malattie acute. "Se i sistemi sanitari devono soddisfare le esigenze delle popolazioni più anziane, devono fornire una cura continua incentrata sulle questioni che le  riguardano: dolore cronico e difficoltà nell'udito, nel vedere, nel camminare o nell'esecuzione di attività quotidiane", aggiunge Beard,  richiederanno una migliore integrazione tra chi eroga  assistenza". Alcuni paesi stanno già facendo investimenti intelligenti guidati dalla strategia globale dell'Oms sull'invecchiamento e la salute . Il Brasile ha implementato valutazioni complete e ha ampliato i suoi servizi per gli adulti più anziani; Il Giappone ha integrato un'assicurazione a lungo termine per proteggere le persone dai costi di assistenza; La Thailandia sta rafforzando l'integrazione delle cure sanitarie e sociali il più vicino possibile a dove vivono le persone; mentre il ministero della Salute in Vietnam baserà il suo sistema sanitario globale e il grande numero di centri sanitari per  anziani per soddisfare meglio le esigenze delle persone anziane nelle loro comunità. Nelle Mauritius, il ministero della Salute fornisce copertura sanitaria universale per adulti più anziani, tra cui una rete di centri di salute e cliniche di assistenza primaria con servizi più sofisticati negli ospedali. Gli Emirati Arabi Uniti stanno soddisfando le esigenze sanitarie delle persone anziane creando città più favorevoli all'età. In Francia, "La cura integrata può contribuire a favorire la crescita economica inclusiva, migliorare la salute e il benessere e assicurare che le persone anziane abbiano l'opportunità di contribuire allo sviluppo, invece di essere lasciate alle spalle", ha concluso Beard. Secondo l’Oms la cura integrata è fondamentale per le persone anziane. Le linee guida dell'Oms sulla cura integrata per i più anziani (ICOPE) propongono raccomandazioni basate sulle evidenze per i professionisti della sanità per prevenire, rallentare o invertire il declino delle capacità fisiche e mentali delle persone anziane. Queste raccomandazioni richiedono ai paesi di mettere al centro le esigenze e le preferenze degli adulti più anziani e coordinare le cure. Le linee guida ICOPE consentiranno ai paesi di migliorare la salute e il benessere delle loro popolazioni più anziane e di avvicinarsi maggiormente al raggiungimento della copertura sanitaria universale per tutte le età. La copertura sanitaria universale (UHC) è definita dall'Oms come garanzia che tutte le persone e le comunità ricevano i servizi di qualità di cui hanno bisogno e siano protetti dalle minacce per la salute, senza difficoltà finanziarie. L'invecchiamento della popolazione avrà un impatto sulla copertura sanitaria universale, perché senza considerare le esigenze sanitarie e di assistenza sociale al numero sempre crescente di persone anziane, l'UHC sarà impossibile da raggiungere. Allo stesso modo, l'obiettivo 3 di sviluppo sostenibile - "garantire vita sana e promuovere il benessere per tutti in tutte le età" - non può essere raggiunto senza trasformare i sistemi sanitari e sociali dall'attenzione esclusiva della malattia verso la cura integrata e concentrata in persona, di maggior impatto sulla capacità funzionale in età avanzata. Questa trasformazione richiede un'attenzione particolare a: • organizzare i servizi per rispondere ai vari livelli di capacità delle persone anziane e alle loro esigenze e preferenze; • estendere la copertura dei servizi a tutte le persone anziane. Attualmente molte persone anziane hanno accesso molto limitato ai servizi di base; • assicurando che la copertura si estenda a servizi che forniscano interventi fondamentali per mantenere la capacità intrinseca e la capacità funzionale delle persone anziane (ad esempio piani di valutazione e cura completi, interventi chirurgici, dispositivi, integratori alimentari funzionali, esercizi fisici multimodali e assistenza a lungo termine); • sviluppo di meccanismi di finanziamento sostenibile che possono proteggere gli anziani e le loro famiglie da oneri finanziari indebiti e che forniscono incentivi di sistema per la fornitura dei servizi necessari ai vecchi. Con più persone che vivono più a lungo, ci sarà un numero maggiore di persone che sperimentano il declino nella capacità fisica e mentale e che possono anche avere bisogno di assistenza per le attività quotidiane. Queste esigenze non sono ben soddisfatte nei modelli esistenti di assistenza sanitaria. C'è una urgente necessità di sviluppare approcci complessi basati sulla comunità per prevenire la diminuzione della capacità e fornire assistenza ai caregivers familiari. L'Oms, con il supporto di 30 esperti in medicina geriatrica, ha sviluppato le  linee guida basate sulle prove sulla cura integrata per gli anziani (ICOPE) con particolare attenzione alle impostazioni meno risorse. Destinato a operatori sanitari non specialistici che si occupano degli interventi a casa per persone anziane che possono impedire, invertire o rallentare i declini delle loro capacità. Proteggere gli anziani dal rischio finanziario L'aumento dell’età è frequentemente associata all'aumento dei costi per la salute. Ma quando le persone devono pagare per l'assistenza sanitaria, l'importo può essere così elevato in relazione al loro reddito, in particolare per molteplici condizioni di salute complesse o necessità di cura a lungo termine, che si presenta una "catastrofe finanziaria". I meccanismi per garantire che gli anziani possano accedere ai servizi senza onere finanziario saranno fondamentali, tuttavia i sistemi nazionali di finanziamento sanitario devono essere progettati non solo per consentire ai più vecchi di accedere ai servizi quando sono necessari, ma anche per proteggerli dalla catastrofe finanziaria, eliminando la spesa personale per le popolazioni più anziane.   Fonte.www.quotidianosanita'.it
Quotidiano Sanità



03/10/2017
Europa
Anziani
Europa:anziani Quotidiano Sanità,   01/10/2017 In Europa più di 27 milioni di ultraottantenni. In Italia il numero più alto. Ma per aspettativa di vita a quell’età siamo al quarto posto  Eurostat ha pubblicato la situazione degli over 80 e della loro aspettativa di vita nell'Ue: Italia prima per numero di anziani, quarta per aspettativa di vita a quell'età. Gli Stati "più giovani" sono Irlanda, Slovacchia e Cipro. L'aspettativa di vita minore a 80 anni è in Bulgaria. 30 SET - Gli over 80 in Europa erano 27,3 milioni nel 2016, 7 milioni in più rispetto a dieci anni fa. L’aumento di anziani nell’Ue (dal 4,1% nel 2006 al 5,4% nel 2016) significa che nel 2016, una ogni 20 persone che vivono nell'Ue aveva 80 anni e oltre. L'invecchiamento della popolazione è, almeno in parte, il risultato di una crescente aspettativa di vita: a 80 anni è salita da 8,4 anni del 2005 a 9,2 anni del 2015. Anche se la percentuale di donne nella popolazione di 80 anni e più si è ridotta tra il 2006 e il 2016, rappresentavano ancora circa i due terzi (64%) di persone anziane nell'Ue. A elaborare il dato è Eurosta in occasione della Giornata Internazionale delle Persone Anziane che si celebra il 1° ottobre.  Rapporto più elevato di persone anziane in Italia e Grecia La percentuale delle persone anziane è risultata più elevata negli Stati membri del sud, con le percentuali più alte registrate nel 2016 in Italia (6,7%), in Grecia (6,5%), in Spagna (6,0%) e in Portogallo (5,9%). Segue la Germania con il 5,8%. Al contrario, l'Irlanda (3,1%), la Slovacchia (3,2%) e Cipro (3,3%) hanno registrato le proporzioni più basse di persone anziane over 80. Rispetto al 2006, la percentuale di persone di età superiore agli 80 anni è aumentata nel 2016 in tutti gli Stati membri, a eccezione della Svezia. Il maggiore aumento è stato registrato in Grecia (dal 4,1% nel 2006 al 6,5% nel 2016, +2,4 punti percentuali), davanti a Lituania (+2,1%), Portogallo (+1,9%), Estonia, Lettonia e Slovenia ( tutti +1,8%), Spagna, Croazia e Romania (tutti +1,7%) e Italia (+1,6%). L’aspettativa di vita a 80 anni A livello comunitario, l'aspettativa di vita media all'età di 80 anni era di 9,2 anni nel 2015. Le persone di 80 anni nel 2015 potevano aspettarsi di vivere 10,5 anni in Francia e circa 10 in Spagna (9,9 anni), Lussemburgo (9,8 anni), Italia e Finlandia (entrambi 9,5 anni). All'estremità opposta della scala, la durata minima di aspettativa di vita a 80 anni è stata registrata in Bulgaria (6,9 anni), seguita da Croazia e Romania (7,4 anni), Ungheria (7,6 anni) e Slovacchia (7,7 anni).  In ogni Stato membro dell'UE, l'aspettativa di vita all'età di 80 anni è più elevata per le donne che per gli uomini.  Fonte.www-quotidianosanita'.it
Quotidiano Sanità



03/10/2017
Salute a Roma
Indicatori in calo
«Roma, l'unica capitale Ue con gli indicatori in calo» di Carla Massi Dall'analisi dell'economia del Paese al diabete dei romani. Il convegno Crescita Vs Crisi che si è svolto a Roma è passato dalle parole del ministro dell'Economia Padoan («Basta autoflagellarci, altri stanno peggio») all'annuncio del direttore dell'Istituto superiore di sanità Ricciardi: «Roma è l'unica tra le capitali dell'Unione europea che ha peggiorato i suoi indicatori di salute negli ultimi anni». I romani, in sintesi, stanno molto male. Le loro condizioni fisiche sono precipitosamente crollate e, visto lo stato, rischiano, per questo, di avere vita breve. Davvero un fulmine. Capace di scatenare una bagarre. Uno scontro ideologico sulle cardiopatie, le dipendenze o l'obesità di chi vive nella Capitale. «Tutti gli indicatori, da quello più solido che è l'aspettativa di vita e la mortalità infantile - aggiunge - a quello per patologie tumorali, fanno riscontare un peggioramento della situazione dei cittadini romani rispetto al resto d'Italia». LE CURE Ultima, secondo questa classifica, in Europa e nel suo stesso Paese. Come un vero professore Ricciardi va avanti analizzando lo stato di salute di chi abita nella Capitale patologia per patologia. Quanto al diabete il direttore dell'Istituto ha parlato della prevalenza della malattia «che si attesta tra i 6 e il 7% della popolazione romana mentre la media italiana è del 5%». Quando affronta il capitolo tumori fa confronti e tira conclusioni: «Se hai una patologia neoplastica e vivi in una regione del Nord ha un trattamento e quindi un'aspettativa di vita maggiore rispetto a quella romana». Dal tasso di glicemia dei romani all'attacco politico il passo è breve. Il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, che ha organizzato l'incontro, associa il ritratto sanitario disegnato da Ricciardi al degrado della città. Abbina il peggioramento recente delle condizioni fisiche dei cittadini a «un grande declino sociale e legale di Roma, in particolare un declino delle fasce più deboli». E poi, un nuovo allarme. «La mia impressione è che Roma è piena di droga - dice Beatrice Lorenzin - Rivediamo le siringhe per strada, rivediamo i tossici, gli spacciatori di eroina. Siamo pieni di cocaina. Si fa finta di non vedere come se il problema non ci fosse più, in realtà aggredisce tutti i ceti sociali e tutte le età, insieme all'alcol». L'ATTACCO Scetticismo da parte dei medici, risposta immediata e secca dal Movimento 5 Stelle. Dal capogruppo alla Camera Simone Valente che si rivolge direttamente al ministro della Salute contestando le sue parole nei confronti della città. E il probLela Capitale si sposta su un altro piano. «Quando parla della situazione sanitaria a Roma il ministro Lorenzin sta facendo un atto di autoaccusa o sta puntando il dito contro la Regione Lazio? Perché, francamente, oltre a sparare pensieri in libertà vorremmo comprendere se il responsabile di ciò sarebbe la Regione, che gestisce il sistema sanitario anche della Capitale, oppure lei stessa, dal momento che negli ultimi anni alla sanità nazionale sono stati tagliati 4,6 miliardi di euro, 12 milioni di italiani rinunciano e posticipano le cure e il personale medico sanitario da anni è bloccato il turn over». E dalla senatrice M5S un tweet: «Una domanda ai romani: ma abitavate tutti in Svizzera prima?». «La Lorenzin s'è svegliata! - ancora su il M5S Roma su Facebook - Ha scoperto che esiste la droga, gli spacciatori, gli assuntori». IL SUD Roma, da chi analizza la salute dei cittadini, sarebbe ormai diventata la prima città del Mezzogiorno. Come precisa Ricciardi nel momento in cui sottolinea la differenza del livello di assistenza nelle varie regioni. «I cittadini che rinunciano per motivi economici alle cure al Nord sono molti di meno rispetto al Sud. E il Sud Italia comincia a Roma». Fonte.www.ilmessaggero.it
Avvenire



27/09/2017
Alzheimer
Non cancella la persona
Malattia. L'Alzheimer non cancella la persona Emanuela Genovese giovedì 21 settembre 2017 Oggi ricorre la XXIV Giornata mondiale per l'Alzheimer. In Italia si stima che i malati siano circa un milione e 241mila e i costi ammontino a 37,6 miliardi di euro La definiscono la malattia delle quattro A: amnesia, afasia, agnosia, aprassia. L’Alzheimer, di cui oggi ricorre la XXIV Giornata mondiale, continua a suscitare progetti e interessi, e a coinvolgere ricercatori, e soprattutto familiari e operatori. Certamente inquietano i numeri commentati nella giornata di studi organizzata martedì a Milano dalla Federazione Alzheimer Italia: nel 2015 l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha evidenziato che nel mondo sono 46,8 milioni le persone affette da demenza e che ogni tre secondi si registra un nuovo caso di malattia. In Italia si stima che i malati siano circa un milione e 241mila e i costi ammontino a 37,6 miliardi di euro. Il vero problema per Gabriella Salvini Porro, presidente della Federazione, è la disinformazione: «La non comprensione del fenomeno non aiuta a sensibilizzare sulla malattia. I non addetti al settore, o chi non ha avuto un’esperienza diretta con una persona affetta da demenza, etichettano a volte il paziente colpito da Alzheimer come malato di mente. Non si deve dimenticare invece l’immensa dignità della persona malata e quanto sia importante tutelarla». Nel corso del 2017 ci sono state scoperte significative sulla malattia grazie a una ricerca italiana pubblicata da un’équipe di medici dell’Università Campus Bio-Medico, della Fondazione Santa Lucia e del Cnr di Roma. Si è compreso, infatti, che la malattia ha origine in seguito alla morte della parte del cervello che produce la dopamina con il conseguente mancato funzionamento dei neuroni. Se cure risolutive ancora non esistono, il luogo principale del sostegno al malato dell’Alzheimer però non è l’ospedale ma la residenza sociosanitaria, come ha ricordato Antonio Guaita, direttore della Fondazione Golci Cenci per la ricerca sull’invecchiamento cerebrale. La creazione di «Dementia Friendly Community», ovvero di luoghi dove le persone con demenza possono essere accolte e ascoltate, è la base per affrontare la malattia senza violare la sacralità della persona. Ne è convinto il cofondatore di «Dementia Alliance International», John Sandblom, cui dieci anni fa è stata diagnosticata la demenza. Secondo un rapporto dell’Ocse (l’Organizzazione per la coperazione e lo sviluppo economico) le persone affette da demenza ricevono proprio nei Paesi sviluppati cure peggiori rispetto ad altri malati. «A fine 2014 – dice la presidente Salvini Porro – è stato adotatto anche in Italia un piano di azione e ricerca sulle demenze, ma attualmente senza stanziamento di fondi. Occorre che l’Oms convinca il Ministero della Salute a destinare finanziamenti mirati alle sette aree di intervento previste, tra le quali la focalizzazione della demenza come priorità di salute pubblica, la riduzione del rischio, il sostegno ai familiari. Come federazione tra 47 associazioni su tutto il territorio nazionale, negli ultimi due anni abbiamo aumentato le azioni di sensibilizzazione e avviato il progetto di "Comunità Amiche delle Persone con Demenza", partito da Abbiategrasso e a oggi diffuso in otto città». Sono numerosi i progetti che stanno crescendo in Italia su iniziativa delle associazioni e dei familiari. Come quello del comune di Conegliano, in provincia di Treviso, che ha dato vita a «Il Quartiere Amico». Dal giugno 2016, dopo un primo incontro di sensibilizzare sulla malattia rivolto ai cittadini, il quartiere "amico" è diventato quello in cui gli ospiti dell’«Opera Immacolata di Lourdes », residenza per anziani affetti da demenza, fruiscono di una rete di protezione, sostegno e inclusione grazie alla partecipazione di forze dell’ordine e commercianti. Tra i molti progetti significativi si segnala Casa Wanda, che a Roma opera in collaborazione con le parrocchie della diocesi. Sul modello della gestione integrata il centro, dotato anche di spazi esterni progettati per una stimolazione mentale e fisica del malato, sostiene le famiglie che vivono la perdita di memoria del parente tramite azioni concrete per diminuire gli oneri assistenziali, burocratici, economici e affettivi. In Puglia va segnalata l’iniziativa «Nei volti dei familiari la miglior risposta» realizzata presso i centri Korian: alcuni ritrattisti hanno raffigurato i momenti più belli dei malati over 65 in compagnia dei loro familiari, affinché siano visibili gli effetti positivi delle emozioni e della serenità familiare. «Nell’abbraccio di chi li ama – spiega Aladar Bruno Ianes, direttore medico di Korian Italia – i malati possono trovare uno dei più potenti antidoti emotivi per rallentare il declino cognitivo e la perdita di sé causati dalla malattia». Fonte.www.avvenirer.it.
Quotidiano Sanità



27/09/2017
Vaccini
Consiglio di Stato
Vaccini. Consiglio di Stato: “Obbligo per iscrizione a scuole infanzia da 0 a 6 anni operativo già nell’anno scolastico in corso” È quanto specifica un parere del Consiglio di Stato sulla normativa vigente in materia di obbligo vaccinale, reso in risposta a un quesito del Presidente della Regione Veneto, Luca Zaia. Il Veneto lo scorso 7 settembre aveva emanato un decreto per sospendere la moratoria fino al 2019 per l’obbligo di presentazione alla scuola del documento che attesta le vaccinazioni, rinviando la questione proprio a Palazzo Spada. IL TESTO DEL PARERE. 26 SET - "Già a decorrere dall'anno scolastico in corso, trova applicazione la regola secondo cui, per accedere ai servizi educativi per l'infanzia e alle scuole dell'infanzia, occorre presentare la documentazione che provi l'avvenuta vaccinazione". E' quanto specifica un parere del Consiglio di Stato sulla normativa vigente in materia di obbligo vaccinale, reso in risposta a un quesito del Presidente della Regione Veneto, Luca Zaia.   La Regione Veneto lo scorso 7 settembre aveva emanato un decreto per sospendere la moratoria  fino al 2019 per l’obbligo di presentazione alla scuola del documento che attesta le vaccinazioni, rinviando la questione proprio a Palazzo Spada. Oggi il Consiglio di Stato di fatto respinge le istanze avanzate da Zaia dando a ragione a quanto affermato in questo mese dalle ministre della Salute e dell'Istruzione, Beatrice Lorenzin e Valeria Fedeli.   Cosa dice il parere del Consiglio di Stato. Nel parere il Consiglio di Stato si è inoltre soffermato su diversi aspetti più generali riguardanti l'obbligo vaccinale: "Senza entrare in valutazioni di carattere epidemiologico che dovrebbe essere riservate agli esperti (e che certamente non spettano ai giuristi), risulta infatti evidente - sulla base delle acquisizioni della migliore scienza medica e delle raccomandazioni delle organizzazioni internazionali - che soltanto la più ampia vaccinazione dei bambini costituisca misura idonea e proporzionata a garantire la salute di altri bambini e che solo la vaccinazione permetta di proteggere, proprio grazie al raggiungimento dell’obiettivo dell’”immunità di gregge”, la salute delle fasce più deboli, ossia di coloro che, per particolari ragioni di ordine sanitario, non possano vaccinarsi. Porre ostacoli di qualunque genere alla vaccinazione (la cui “appropriatezza” sia riconosciuta dalla più accreditata scienza medico-legale e dalle autorità pubbliche, legislative o amministrative, a ciò deputate) può risolversi in un pregiudizio per il singolo individuo non vaccinato, ma soprattutto vulnera immediatamente l’interesse collettivo, giacché rischia di ledere, talora irreparabilmente, la salute di altri soggetti deboli".   Quanto poi all'articolo 32 della Costituzione: "La Costituzione contrariamente a quanto divisato dai sostenitori di alcune interpretazioni riduzionistiche del diritto alla salute, non riconosce un’incondizionata e assoluta libertà di non curarsi o di non essere sottoposti trattamenti sanitari obbligatori (anche in relazione a terapie preventive quali sono i vaccini), per la semplice ragione che, soprattutto nelle patologie ad alta diffusività, una cura sbagliata o la decisione individuale di non curarsi può danneggiare la salute di molti altri esseri umani e, in particolare, la salute dei più deboli, ossia dei bambini e di chi è già ammalato".   "Sulla base del riferito disposto costituzionale, dunque - prosegue il testo - la copertura vaccinale può non essere oggetto dell’interesse di un singolo individuo, ma sicuramente è d’interesse primario della collettività e la sua obbligatorietà – funzionale all’attuazione del fondamentale dovere di solidarietà rispetto alla tutela dell’altrui integrità fisica – può essere imposta ai cittadini dalla legge, con sanzioni proporzionate e forme di coazione indiretta variamente configurate, fermo restando il dovere della Repubblica (anch’esso fondato sul dovere di solidarietà) di indennizzare adeguatamente i pochi soggetti che dovessero essere danneggiati dalla somministrazione del vaccino (e a ciò provvede la legge 25 febbraio 1992, n. 210) e di risarcire i medesimi soggetti, qualora il pregiudizio a costoro cagionato dipenda da colpa dell’amministrazione".   "La mancata considerazione di siffatto dovere di solidarietà rischierebbe, peraltro - si aggiuge - di minare alla base anche l’eguaglianza sostanziale tra i cittadini sulla quale poggia la stessa democrazia repubblicana, atteso che i bambini costretti a frequentare classi in cui sia bassa l’immunità di gregge potrebbero essere esposti a pericoli per la loro salute, rischi ai quali invece non andrebbero incontro bambini appartenenti a famiglie stanziate in altre parti del territorio nazionale. La discriminazione tra bambini e bambini, tra cittadini sani e cittadini deboli, non potrebbe essere più eclatante. Il servizio sanitario e il servizio scolastico, da chiunque gestiti, debbono quindi garantire alti e omogenei livelli di copertura vaccinale in tutto il Paese, dal momento che la stessa ragion d’essere di tali servizi è quella di rendere effettivi, all’insegna del buon andamento amministrativo e della leale collaborazione tra i vari livelli di governo, i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione e, tra questi, in primo luogo il diritto alla vita e alla salute, quali indefettibili precondizioni per un pieno sviluppo della persona umana, pure in quella particolare formazione sociale che è la scuola".   Infine, il Consiglio di Stato si sofferma sul principio di precauzione applicato al settore della salute. "Non ignora questa Commissione che in talune argomentazioni giuridiche dirette contro l’obbligo vaccinale ricorra sovente l’invocazione del suddetto principio. Di esso però è offerta un’interpretazione secondo la quale, in sintesi, lo Stato dovrebbe astenersi dall’imporre l’obbligo vaccinale giacché le vaccinazioni implicherebbero un inevitabile rischio di reazioni avverse o di più gravi pregiudizi dell’integrità fisica dei soggetti vaccinati; in altri termini, sarebbe assente una condizione di c.d. “rischio zero”. Ebbene, premesso che a nessuna condotta umana si correla un “rischio zero”, appare evidente che la riferita concezione del principio di precauzione impedirebbe in radice qualunque sviluppo delle scienze medico- chirurgiche (e di qualunque altra scienza). Inoltre le tesi, testé richiamate, tendono travisare il senso e il finalismo del principio di precauzione la cui dinamica applicativa, lungi dal fondarsi su un pregiudizio antiscientifico, postula più di qualunque altro principio del diritto una solida base scientifica".   Giovanni Rodriquez Fonte.www.quotidianosanita'.it
Quotidiano Sanità



27/09/2017
Istat
Anziani
Anziani: la salute peggiora molto tra i 65 e gli 80 anni. Nelle donne maggiori multicronicità. Il nuovo Rapporto Istat e il confronto con l’Ue. Il convegno Federsanità I vari indicatori confermano il notevole peggioramento dello stato di salute della popolazione anziana in Italia nel passaggio dai 65 agli 80 anni, con prevalenze che raddoppiano nel caso della presenza di patologie croniche e quintuplicano per le gravi limitazioni motorie. Tra le donne anziane si osservano maggiori prevalenze di multicronicità (55,2% contro 42,4% degli uomini) e limitazioni motorie (28,7% contro 15,7%) e sensoriali (17,0% contro 12,7%). REPORT, DATI ITALIANI, CONFRONTO CON L'UE 26 SET - In Italia, la speranza di vita a 65 anni (18,9 anni per gli uomini e 22,2 per le donne nel 2015) è più elevata di un anno per entrambi i generi rispetto alla media Ue, ma dopo i 75 anni gli anziani in Italia vivono in condizioni di salute peggiori. Per le patologie croniche, nel confronto con i dati europei, emergono in generale migliori condizioni degli italiani tra i meno anziani (65-74 anni), con prevalenze più basse per quasi tutte le patologie e, all'opposto, condizioni peggiori oltre i 75 anni. Circa un anziano su due soffre di almeno una malattia cronica grave o è multicronico, con quote tra gli ultraottantenni rispettivamente di 59,0% e 64,0%. I dati sono quelli forniti dall’Istat nel report sulle condizioni di salute degli anziani in Italia e nell’Ue. Il confronto dei vari indicatori di salute conferma il notevole peggioramento dello stato di salute della popolazione anziana in Italia nel passaggio dai 65 agli 80 anni, con prevalenze che raddoppiano nel caso della presenza di patologie croniche e quintuplicano per le gravi limitazioni motorie. Sono il 30,8% le persone di 65-69 anni che dichiarano almeno una patologia cronica grave , quota che raddoppia tra gli ultraottantenni (59,0%). Il 37,6% delle persone di 65-69 anni riporta almeno tre patologie croniche (comorbilità o multicronicità), a fronte del 64,0% degli ultraottantenni. Nel caso delle limitazioni motorie, l’incremento delle prevalenze è ancora più rilevante, passando dal 7,7% tra gli anziani di 65-69 anni al 46,5% tra quelli di 80 anni e più. Le limitazioni sensoriali (gravi difficoltà nella vista o nell’udito) passano dal 5,1% al 29,5%, con una quota complessiva di anziani pari al 5,6% che riferisce gravi difficoltà di vista o cecità e il 12,2% gravi difficoltà di udito o di essere completamente sordo. Tra le donne anziane si osservano maggiori prevalenze di multicronicità (55,2% contro 42,4% degli uomini) e limitazioni motorie (28,7% contro 15,7%) e sensoriali (17,0% contro 12,7%); maggiore invece la prevalenza di malattie croniche gravi per gli uomini (46,4% contro 43,4%). Il 37,7% degli anziani, secondo il report,  riferisce di aver provato dolore fisico, da moderato a molto forte, nelle quattro settimane precedenti l'intervista, valore inferiore alla media Ue e simile a quanto rilevato per la Spagna. Il 23,1% degli anziani ha gravi limitazioni motorie, con uno svantaggio di soli 2 punti percentuali sulla media Ue, principalmente dovuto alla maggiore quota di donne molto anziane in Italia. Le donne riportano meno frequentemente malattie croniche gravi ma più multicronicità e limitazioni motorie o sensoriali. Lamentano più degli uomini dolore fisico da moderato a molto forte (45,4% contro 27,6%). Tra le ultraottantenni la percentuale arriva al 58,6% a fronte del 39,2% degli uomini. Si confermano le disuguaglianze sociali nelle condizioni di salute. Il 55,7% degli anziani del primo quinto di reddito sono multicronici contro il 40,6% dell’ultimo quinto. Analogamente accade per chi soffre di almeno una malattia cronica grave (46,4% contro 39,0%), una grave riduzione di autonomia nelle attività di cura della persona (13,2% contro 8,8%) e in quelle quotidiane di tipo domestico (35,7% contro 22,0%) o per chi ha gravi limitazioni motorie. Nel Mezzogiorno si stima una prevalenza, anche a parità di età, della multicronicità (56,4% contro 42,7% del Nord) e una presenza di anziani con almeno una malattia cronica grave (49,4% contro 39,4%), oltre che con gravi limitazioni motorie (27,7% contro 17,0%) o sensoriali (16,5% contro 12,8%). Tra gli anziani con grave riduzione di autonomia nelle attività di cura della persona il 58,1% dichiara di aver bisogno di aiuto o di averne in misura insufficiente. La quota di aiuto non soddisfatto appare superiore al Sud (67,5%) e tra gli anziani meno abbienti (64,2%). Nonostante le precarie condizioni di salute, in Italia sono 1 milione e 700 mila (pari al 12,8%) gli anziani in grado di offrire cure almeno una volta a settimana a familiari e non familiari con problemi di salute, dato pressoché in linea con la media Ue. Quasi i due terzi hanno dai 65 ai 74 anni, più donne che uomini. I livelli di accesso agli screening dei tumori femminili sono prossimi alla media Ue. La prevenzione del cancro del colon-retto tramite la ricerca del sangue occulto nelle feci per le persone di 50-74 anni (fascia di età target) è sostanzialmente uguale in Italia e nella media Ue. La vaccinazione antinfluenzale nella popolazione anziana è meno diffusa rispetto alla media Ue. Con riferimento agli stili di vita, l'Italia ha una posizione di netto vantaggio rispetto agli altri paesi dell'Unione per i livelli di obesità e di consumo di frutta e verdura, ma  si caratterizza per i bassi livelli di attività fisica, rispetto a quelli raccomandati dall'Organizzazione mondiale della sanità. L'abitudine al fumo tra le persone di 15 anni e più è meno diffusa in Italia rispetto alla media dei paesi Ue. Fonte.www.quotidianosanita'.it
ANSA



27/09/2017
Istat
Anziani italiani
ROMA - Longevi ma sofferenti a causa di qualche malattia cronica e con dolori fisici che ne limitano la qualita' della vita, piu' per le donne che per gli uomini. E dopo i 75 anni vivono in condizioni peggiori rispetto agli altri anziani europei. E' l'ultimo rapporto Istat sulla salute in Italia e nell'Unione Europea a dirlo. La speranza di vita a 65 anni (18,9 anni per gli uomini e 22,2 per le donne nel 2015) è più elevata di un anno rispetto alla media Ue. Un anziano su due soffre di almeno una malattia cronica grave. Più di un terzo degli anziani, esattamente il 37,7%, riferisce di aver provato dolore fisico, da moderato a molto forte, nelle quattro settimane precedenti l'intervista, un valore che tuttavia è inferiore alla media Ue e simile a quanto rilevato per la Spagna. Il 23,1% degli anziani ha gravi limitazioni motorie, con uno svantaggio di soli 2 punti percentuali sulla media Ue, principalmente dovuto alla maggiore quota di donne molto anziane in Italia. L'Istat rileva anche che tra gli anziani con grave riduzione di autonomia nelle attività di cura della persona il 58,1% dichiara di aver bisogno di aiuto o di averne in misura insufficiente. La quota di aiuto non soddisfatto appare superiore al Sud (67,5%) e tra gli anziani meno abbienti (64,2%). Oltre un anziano su quattro (25,9%) dichiara di poter contare su una solida rete di sostegno sociale, il 18% su una debole e uno su due si colloca in una situazione intermedia. Nonostante le precarie condizioni di salute, in Italia sono 1 milione e 700 mila (pari al 12,8%) gli anziani in grado di offrire cure almeno una volta a settimana a familiari e non familiari con problemi di salute.   Fonte.www.ansa.it 
Quotidiano Sanità



27/09/2017
Istat
Anziani italiani
ROMA - Longevi ma sofferenti a causa di qualche malattia cronica e con dolori fisici che ne limitano la qualita' della vita, piu' per le donne che per gli uomini. E dopo i 75 anni vivono in condizioni peggiori rispetto agli altri anziani europei. E' l'ultimo rapporto Istat sulla salute in Italia e nell'Unione Europea a dirlo. La speranza di vita a 65 anni (18,9 anni per gli uomini e 22,2 per le donne nel 2015) è più elevata di un anno rispetto alla media Ue. Un anziano su due soffre di almeno una malattia cronica grave. Più di un terzo degli anziani, esattamente il 37,7%, riferisce di aver provato dolore fisico, da moderato a molto forte, nelle quattro settimane precedenti l'intervista, un valore che tuttavia è inferiore alla media Ue e simile a quanto rilevato per la Spagna. Il 23,1% degli anziani ha gravi limitazioni motorie, con uno svantaggio di soli 2 punti percentuali sulla media Ue, principalmente dovuto alla maggiore quota di donne molto anziane in Italia. L'Istat rileva anche che tra gli anziani con grave riduzione di autonomia nelle attività di cura della persona il 58,1% dichiara di aver bisogno di aiuto o di averne in misura insufficiente. La quota di aiuto non soddisfatto appare superiore al Sud (67,5%) e tra gli anziani meno abbienti (64,2%). Oltre un anziano su quattro (25,9%) dichiara di poter contare su una solida rete di sostegno sociale, il 18% su una debole e uno su due si colloca in una situazione intermedia. Nonostante le precarie condizioni di salute, in Italia sono 1 milione e 700 mila (pari al 12,8%) gli anziani in grado di offrire cure almeno una volta a settimana a familiari e non familiari con problemi di salute.   Fonte.www.ansa.it 
Quotidiano Sanità



22/09/2017
Antibiotici
Allarme mondiale
Antibiotici, è allarme mondiale. Tra pochi anni non ne avremo più di efficaci. Colpa della resistenza antimicrobica. Il rapporto Oms La maggior parte dei farmaci attualmente in sperimentazione clinica sono modifiche delle classi esistenti di antibiotici e sono solo soluzioni a breve termine e ci sono ben pochi potenziali opzioni di trattamento per quelle infezioni antibiotico-resistenti individuate dall'Oms come la più grande minaccia per la salute. Inclusa la tubercolosi resistente ai farmaci che uccide circa 250.000 persone ogni anno. Tra tutti i farmaci in sperimentazione solo 8 sono classificati dall'Oms come trattamenti innovativi che aggiungeranno valore all'attuale panel degli antibiotici. IL RAPPORTO OMS. ELENCO OMS DELLE PRIORITA' PER LO SVILUPPO DI NUOVI ANTIBIOTICI. 20 SET - Un rapporto sugli agenti antibatterici nello sviluppo clinico, un'analisi della sperimentazione per lo sviluppo clinico antibatterico, inclusa la tubercolosi, lanciata oggi dall'Oms mostra una grave mancanza di nuovi antibiotici in fase di sviluppo per combattere la crescente minaccia della resistenza antimicrobica. La maggior parte dei farmaci attualmente in sperimentazione clinica sono modifiche delle classi esistenti di antibiotici e sono solo soluzioni a breve termine. Il rapporto ha trovato ben pochi potenziali opzioni di trattamento per quelle infezioni antibiotico-resistenti individuate dall'Oms come la più grande minaccia per la salute, inclusa la tubercolosi resistente ai farmaci che uccide circa 250.000 persone ogni anno. La relazione - "Agenti antibatterici nello sviluppo clinico - un'analisi della sperimentazione di sviluppo clinico antibatterico, tra cui Mycobacterium tuberculosis" - mostra una grave mancanza di nuovi antibiotici in fase di sviluppo per combattere la crescente minaccia della resistenza antimicrobica. "La resistenza antimicrobica è un'emergenza sanitaria globale che seriamente pregiudicherà i progressi della medicina moderna", afferma Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell'Oms. "C'è urgente bisogno di maggiori investimenti in ricerca e sviluppo per le infezioni resistenti agli antibiotici, inclusa la tubercolosi, altrimenti saremo costretti a ritornare a un momento in cui le persone temevano infezioni comuni e rischiavano la vita anche per interventi di chirurgia minore". Oltre alla tubercolosi resistente, l'Oms ha individuato 12 classi di patogeni prioritari, alcuni dei quali causano infezioni comuni come la polmonite o le infezioni delle vie urinarie, sempre più resistenti agli antibiotici esistenti e che necessitano urgentemente di nuovi trattamenti. La relazione identifica 51 nuovi antibiotici e farmaci biologici nello sviluppo clinico per trattare gli agenti patogeni a base di antibiotici prioritari, la tubercolosi e l'infezione  mortale da Clostridium difficile. Tra tutti questi farmaci, tuttavia, solo 8 sono classificati dall'Oms come trattamenti innovativi che aggiungeranno valore all'attuale panel degli antibiotici. L'Organizzazione mondiale della sanità è stata invitata dagli Stati membri a sviluppare un elenco globale di patogeni a livello globale (PPL globale) di batteri resistenti agli antibiotici per aiutare a dare priorità alla ricerca e allo sviluppo di nuovi e efficaci trattamenti antibiotici. A oggi, la selezione di agenti patogeni per attività di ricerca e sviluppo è stata guidata da piccole e grandi aziende farmaceutiche in base a una serie di parametri, quali la necessità medica percepita/non soddisfatta, la pressione degli investitori, la dimensione del mercato, il potenziale di scoperta scientifica e la disponibilità di specifici tecnologie. Esiste una grave mancanza di opzioni di trattamento per i tubercolosi multiforme e ad ampio spettro di farmaco e gli agenti patogeni gram-negativi, tra cui Acinetobacter e Enterobacteriaceae (come Klebsiella e E.coli ) che possono causare infezioni gravi e spesso mortali e sono una particolare minaccia negli ospedali e nelle case di cura. Ci sono anche pochissimi antibiotici orali in esame e sono formulazioni essenziali per il trattamento di infezioni extra ospedaliere o in strutture limitate. "Le aziende farmaceutiche e i ricercatori devono concentrarsi urgentemente sui nuovi antibiotici contro alcuni tipi di infezioni estremamente gravi che possono uccidere i pazienti in pochi giorni perché non c’è alcuna linea di difesa", afferma Suzanne Hill, direttore del Dipartimento di medicinali essenziali presso l'Oms . Per contrastare questa minaccia, l'Oms e l la DNDi (Drugs for Neglected Diseases Initiative)  hanno istituito il Global Partnership per la ricerca e lo sviluppo di antibiotici (noto come GARDP). Il 4 settembre 2017, Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Sudafrica, Svizzera, Regno Unito, Irlanda del Nord e il Wellcome Trust (centro di ricerca con sede a Londra) hanno impegnato più di 56 milioni di euro per questo lavoro. "La ricerca sulla tubercolosi è seriamente insufficiente, con solo due nuovi antibiotici per il trattamento di quella resistente ai farmaci che hanno raggiunto il mercato in oltre 70 anni", afferma Mario Raviglione, direttore del programma globale di tubercolosi dell'Oms. "Se dobbiamo sconfiggere la tubercolosi, occorrono urgentemente più di 800 milioni di dollari l'anno per finanziare la ricerca di nuovi farmaci antitubercolici". I nuovi trattamenti da soli, tuttavia, non saranno sufficienti per combattere la minaccia della resistenza antimicrobica. L'Oms lavora con paesi e partner per migliorare la prevenzione e il controllo delle infezioni e promuovere l'uso appropriato degli antibiotici esistenti e futuri e sta inoltre sviluppando orientamenti per l'uso responsabile degli antibiotici nei settori umano, animale e agricolo.
Quotidiano Sanità



22/09/2017
Cimo
XXXI congresso Nazionale
XXXI Congresso nazionale Cimo. Guido Quici è il nuovo presidente: “Non faremo sconti a nessuno” “Dalle istituzioni pretendiamo regole certe e dai medici che le rispettino” ha detto il neo presidente eletto all’unanimità. Il primo nodo da sciogliere è il contratto “privo ad oggi dei requisiti minimi per avviarlo”. Nel programma, la difesa dei giovani medici, la libera professione e alleanze con le società scientifiche per garantire qualità delle prestazioni professionali LA RELAZIONE CONGRESSUALE 22 SET - “Niente sconti, né per la politica la cui ingerenza sulla sanità è sempre maggiore, né per i direttori generali che non rispettano i contratti di lavoro o che mortificano la professione del medico facilitando carriere non sempre trasparenti. Ma neanche per i medici che, con comportamenti ed azioni deontologicamente scorrette, compromettono l’immagine di un’intera categoria”.   Mette subito le carte in tavola Guido Quici classe 1957 già Vice Presidente vicario di Cimo, consigliere d’amministrazione dell’Onaosi e Direttore della unità complessa di epidemiologia dell’Azienda Rummo di Benevento, eletto all’unanimità nel corso del XXXI Congresso nazionale Cimo a Firenze. Nella sua relazione da neo presidente, indica punto per punto nodi da sciogliere e strategie da attuare nei prossimi 4 anni di mandato, ricordando che il sindacato pretenderà dalle Istituzioni regole certe per dare risposte chiare e precise alla classe medica. E il primo punto in agenda è il contratto di lavoro.   Contratto. “La mia presidenza in Cimo avrà sin da subito delle caratteristiche ben precise – ha detto – nell’attuale contesto socio politico noi sindacati siamo chiamati a dare una risposta chiara e precisa alla classe medica ad iniziare dal contratto di lavoro. Ad oggi non ci sono i requisiti minimi per avviare un contratto di lavoro. Immaginare di voler premiare chi lavora senza risorse non incanta più nessuno, né incantano le ‘partite di giro’ che imputano una parte degli incrementi contrattuali al salario accessorio il cui fondo tende ad ‘evaporare’ dopo ogni finanziaria o ad ogni processo di ristrutturazione aziendale”.   Sul piatto non c’è solo l’aspetto economico, la Cimo ricorda Quici, non intende cedere il passo neanche su alcuni principi fondamentali come l’introduzione di clausole e procedure che garantiscono l’efficacia e la cogenza degli accordi e che prevedano strumenti sanzionatori in caso di inosservanze o violazioni da parte delle aziende.   E sull’Atto di indirizzo, aggiunge “il rischio è che si basi su un modello organizzativo, quello per intensità di cura, che è presente in poche realtà regionali e stenta a realizzarsi per oggettivi problemi strutturali e funzionali. Ma, intanto, potrebbe condizionare, nell’immediato, il lavoro dei sanitari che si troverebbero ad operare con regole avulse dai contesti di gran parte delle aziende sanitarie”.   Sostenere il mantenimento dell’attuale sistema universalistico delle cure. No ai fondi sanitari complementari e sostitutivi sì alla stipula di accordi tra i fondi integrativi e le strutture sanitarie pubbliche accreditate secondo nuovo standard quali tempi di attesa, qualità di prestazioni e partecipazione diretta del personale dipendente del Ssn. È questa la formula per sostenere il Ssn del programma Cimo targato Quici. “Il nostro servizio sanitario è un sistema che può essere migliorato, riorganizzato – ha detto – ma, in ogni caso, deve garantire l’accesso alle cure per tutti i cittadini e tanto può avvenire solo attraverso il potenziamento dei Lea. Se il Governo continuerà la sua politica dei tagli e di un finanziamento ridotto al lumicino rispetto al reale fabbisogno, sarà inevitabile un ulteriore incremento dell’out of pocket, già oggi stimato nella misura di circa 35 miliardi e che incide, per l’87%, direttamente nelle tasche del cittadino. Non a caso il proliferare dei Fondi sanitari rappresenta l’evidenza di questo fenomeno. Tuttavia Cimo ritiene che occorre impedire che l’assistenza sanitaria integrativa sia surrogata da concrete forme di assistenza sostitutiva o complementare; evitare la commistione tra secondo (no profit) e terzo pilastro (profit); evitare la cosiddetta comunity rating, ovvero la selezione del rischio da parte di chi assicura l’assistenza; evitare che il secondo pilastro sostituisca i Lea; evitare il ticket in partecipazione mutualistica”.   Precariato e giovani medici. Per risolvere questa criticità, secondo il neo presidente, bisogna espletare rapidamente i concorsi per stabilizzare i titolari di contratti atipici e arrivare alle assunzioni necessarie al Ssn. “Al medico specialista, vincitore di concorso pubblico va l’affidamento, fin dal momento dell’assunzione, di un incarico professionale di cui alla lett. c) art. 27 del Ccnl – ha spiegato – va prevista, inoltre, l’assunzione, con concorso pubblico e limitatamente ad una percentuale predefinita, di medici non specialisti o specializzandi nelle aree funzionali di medicina e di chirurgia con inquadramento dirigenziale alla lett. d) art, 27 del Ccnl e possibilità di completare il percorso specialistico, nelle strutture sanitarie per la successiva progressione di carriera. In ogni caso Cimo rifiuta qualsiasi ipotesi di inquadramento dei giovani medici in un livello che non sia di tipo dirigenziale”.   La libera professione, perché è un diritto del medico. “Basta col pregiudizio che considera l’intramoenia l’unico strumento per aggirare le liste di attesa attribuendo penalizzazioni ai medici per inadempienze non dipendenti dalla loro volontà”. “Se davvero lo Stato ha interesse a ridurre i tempi di attesa – ha sottolineato il neo presidente – deve sburocratizzare la macchina organizzativa delle aziende sanitarie, deve eliminare il ‘pizzo’ amministrativo che il cittadino è costretto a pagare ogni qualvolta si rivolge al professionista, deve assicurare una maggiore competitività delle strutture sanitarie per evitare ogni forma di sanità low cost anche allargando l’offerta sanitaria ai Fondi sanitari integrativi attraverso specifiche convenzioni con le strutture sanitarie pubbliche secondo nuovi standard che garantiscano tempi di attesa certi e qualità delle prestazioni”.   Modelli organizzativi. No alle sperimentazioni e si alle certezze sui modelli organizzativi a cominciare da una forte organizzazione dipartimentale. Questa la linea del sindacato delineata da Quici. “Il lavoro del medico è fortemente condizionato dai contesti organizzativi ospedalieri o territoriali e di emergenza urgenza – ha spiegato – per l’Assistenza Ospedaliera, che si tratti di ospedali organizzati per intensità di cure o per agglomerati funzionali omogenei o per dipartimenti, emerge la consapevolezza di dover chiarire le ‘regole del gioco’ che sono alla base delle dinamiche interne di ogni attività ospedaliera; ‘regole’ che devono essere applicate in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale. Questo significa che la certezza dei ruoli e delle responsabilità non può essere messa in discussione da modelli sperimentali, né tantomeno da un comma, il 566, mal scritto ed inapplicabile, che tende a destabilizzare lo stato giuridico del personale sanitario. Diventa, quindi fondamentale abbandonare le ‘mode’ e concentrarsi su cose concrete ad iniziare da una forte organizzazione dipartimentale. In questa fase il modello di ospedale per intensità di cure è del tutto inapplicabile”.   Per il Sistema di Emergenza-Urgenza,altra criticità del Ssn, serve una rete unica dell’emergenza per garantire l’uniformità dell’assistenza, e definire, in un ruolo unico, la figura del medico: dalla presa in carico del paziente, alla sua gestione, fino al trattamento delle patologie e dei traumi tempo-dipendenti. Per la Medicina territoriale occorre accelerare sulle Cure Primarie, potenziare l’Assistenza Domiciliare Residenziale e Semiresidenziale, rendere operativo il Piano nazionale delle Cronicità, ma, soprattutto, implementare, in ambito distrettuale, nuovi standard organizzativi. But last not least la costruzione di nuove alleanze. Su questo punto Cimo si propone come un interlocutore privilegiato nel rappresentare, in sede contrattuale, i bisogni della Comunità Scientifica attraverso soluzioni tese a valorizzare e difendere la professione medica. Ovviamente Sindacato e Società Scientifica conserveranno, ciascuna, la propria autonomia, ma saranno complementari l’uno all’altra su tematiche di comune interesse. Fonte.www.quotidianosanita'.it
Quotidiano Sanità



22/09/2017
Chersevani
Sicurezza sul lavoro
Sicurezza sul lavoro. Chersevani (Fnomceo): “Istituire lo Sportello del disagio lavorativo per aiutare i medici in difficoltà” Un luogo virtuale, ma anche uno spazio fisico. È così che il Presidente Roberta Chersevani, immagina lo “Sportello del disagio lavorativo”, un servizio per medici e odontoiatri che sarà proposto a tutti i 106 presidenti d’Ordine d’Italia riuniti nel Consiglio Nazionale, a Giardini Naxos (Messina), il prossimo 29 settembre.   22 SET - Uno “Sportello del disagio lavorativo”, dove medici e odontoiatri possano denunciare eventi e situazioni che non li lasciano lavorare in condizioni di sicurezza. Ad ascoltarli, a rispondere, e a monitorare le situazioni a rischio, un Gruppo di Lavoro istituito ad hoc all’interno della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCeO).   L’idea è del Presidente della FNOMCeO, Roberta Chersevani: “farò questa proposta prima al Comitato Centrale e poi a tutto il Consiglio Nazionale – ha spiegato Chersevani -, perché l’Ordine si possa veramente mettere a tutela dell’iscritto e della persona assistita”.   La sua richiesta arriva all’indomani dell’ennesimo episodio di violenza ai danni di un medico è sarà ufficializzata a Giardini Naxos (Messina), il prossimo 29 settembre, davanti i 106 presidenti d’Ordine d’Italia riuniti nel Consiglio Nazionale. Il presidente della FNOMCe subito dopo i fatti di Catania, in cui una giovane dottoressa era stata aggredita e violentata durante il turno di guardia medica, aveva esortato a smetterla con le parole e le dichiarazioni di intenti e passare a soluzioni concrete. L’appello è stato raccolto dagli Ordini provinciali e tutti, nessuno escluso, in poche ore, hanno proposto rimedi più o meno strutturali.   In base all’articolo “Qualità ed equità delle prestazioni”, del Codice Deontologico della categoria, “è diritto del medico – ha aggiunto il Presidente della FNOMCeO - deve esigere da parte della struttura in cui opera ogni garanzia affinché le modalità del suo impegno e i requisiti degli ambienti di lavoro non incidano negativamente sulla qualità e sulla sicurezza del suo lavoro e sull’equità delle prestazioni”.   “Ma quale qualità potrà assicurare un medico frettoloso perché spaventato o minacciato, quale equità un medico che ha paura a far entrare in ambulatorio quello che vede come un potenziale aggressore?”, ha domandato Chersevani.   Non meno importante il primo comma dell’articolo 70 – ha affermato ancora il presidente FNOMCeO -, che mette in guardia verso il sovraccarico di lavoro dei medici e l’eccesso di prestazioni, che rischia di inficiare la qualità e la sicurezza delle prestazioni stesse”. Ma come funzionerà, nella pratica, lo “Sportello del disagio”? “Potrebbe essere uno spazio virtuale o anche un momento di incontro con un collega dell’Ordine – ha spiegato Chersevani – Sarà una rete che costruiremo insieme, con le idee che nasceranno dal Consiglio Nazionale” .   Il primo passo sarà l’istituzione, presso la FNOMCeO, di un Gruppo di Lavoro dedicato, che svilupperà il progetto e provvederà poi a monitorare le segnalazioni sino a tracciare una mappa del disagio lavorativo in ambito medico. Fonte.www.quotidianosanita'.it
Quotidiano Sanità



22/09/2017
Fake news
Nuovo sito dei medici
Fake news. “Dottoremaeveroche” il nuovo sito dei medici contro le “bufale” Si chiamerà Dottoremaeveroche e avrà l'obiettivo di smascherare le “bufale” che riguardano la medicina e la salute. È il nuovo sito della Fnomceo, la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, che sarà presentato ufficialmente il 23 settembre, a Mestre durante il Convegno scientifico che aprirà la due giorni di “Venezia in Salute”. 22 SET - Fake news addio. Grazie a “Dottoremaeveroche”, il nuovo sito della Fnomceo, la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri”. L’iniziativa sarà presentata durante “Venezia in Salute”, la manifestazione che, nata da un’idea del vicepresidente della FNOMCeO Maurizio Scassola, è giunta ormai alla sua quinta edizione.   E proprio alle fake news in medicina sarà dedicato quest’anno l’evento, che – organizzato dall’Omceo di Venezia – vede il sostegno di Fnomceo e di Enpam, che farà di Mestre una tappa del suo tour Salute in Piazza.   “Medicina e sanità sono sotto attacco anche a causa di uno uso sproporzionato e poco scientifico della rete e dei social network. Le battaglie degli anti-vaccinisti e le false terapie, tanto per fare solo un paio di esempi, trovano proprio nella tecnologia digitale una cassa di risonanza che prima faticavano ad avere”, ha spiegato Ornella Mancin, presidente della Fondazione Ars Medica, braccio culturale dell’Ordine al quale è affidata l’organizzazione dell’evento.    “Rigore scientifico e corretta informazione sono le due armi che i professionisti della sanità hanno per contrastare questa deriva – ha affermato Giovanni Leoni, presidente dell’Ordine dei Medici di Venezia -. Una deriva che mette in pericolo, in prima istanza, la salute dei cittadini ma anche il ruolo sociale del medico, con tutte le conseguenze di cui siamo testimoni”.   “L’idea di partenza – ha aggiunto Maurizio Scassola, vicepresidente FNOMCeO – è quella di giungere a un empowerment del cittadini, rendendoli partecipi dei processi scientifici e quindi in grado di distinguere tra bugie e verità, tra fonti più o meno affidabili. Per questo i medici scendono in piazza e dialogano con i cittadini e con i diversi soggetti, pubblici e privati, che si occupano di salute”.   “Questo è anche lo spirito dal quale nasce Dottoremaeveroche – ha detto Alessandro Conte, coordinatore del Gruppo di Lavoro Fnomceo dedicato al progetto -. Il paziente di oggi ha bisogno di condurre il medico sul terreno in cui si è realizzata la sua esperienza digitale, per essere effettivamente rinfrancato di dubbi e paure. Il medico dal canto suo non può affrontare questo fondamentale momento di interazione con ritrosia o superiorità. Avvalendosi di strumenti nuovi - ha concluso - il processo avverrà in maniera più rapida e soddisfacente per entrambi”. 22 settembre 2017
Quotidiano Sanità



22/09/2017
Cassazione
Malattia
Cassazione. Il lavoratore in malattia  può svolgere un secondo lavoro purché non ci siano conflitti di interesse, ma soprattutto non pregiudichi la guarigione Il secondo lavoro anche in malattia è compatibile  durante l’assenza a condizione che non pregiudichi la pronta guarigione.  A stabilirlo è la Corte di Cassazione, sezione Lavoro (sentenza 21667/2017), che ha precisato che lo svolgimento di un'altra attività lavorativa può legittimare il licenziamento per violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà solo se la circostanza è sufficiente a far presumere l'inesistenza della malattia o quando pregiudica o ritarda la guarigione e il rientro del lavoratore in servizio. LA SENTENZA. 22 SET - In malattia si può lavorare, purché non si pregiudichi la guarigione Lo ha affermato la Cassazione, dichiarando illegittimo il licenziamento di un lavoratore malato che aveva aiutato il figlio in negozio Niente licenziamento quindi per chi, pur assente per malattia dal posto di lavoro ha svolto un’altra occupazione: il secondo lavoro anche in malattia è compatibile  durante l’assenza a condizione che non pregiudichi la pronta guarigione secondo la Corte di Cassazione, sezione Lavoro, che con la sentenza 21667 del 19 settembre 2017, ha precisato che lo svolgimento di un'altra attività lavorativa può legittimare il licenziamento per violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà solo se la circostanza è sufficiente a far presumere l'inesistenza della malattia o quando pregiudica o ritarda la guarigione e il rientro del lavoratore in servizio. “Lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per malattia – afferma la Cassazione nella sentenza - è idoneo a giustificare il recesso del datore di lavoro per violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà ove tale attività esterna, prestata o meno a titolo oneroso, sia per sé sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, dimostrando, quindi, una sua fraudolenta simulazione, ovvero quando, valutata in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, l’attività stessa possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio del lavoratore”. Nel caso il esame, il lavoratore in malattia si era recato presso l'esercizio commerciale del figlio con la propria autovettura e aveva svolto alcune attività (spostare piccole piante, movimentare la saracinesca del negozio con un dispositivo elettronico) e per questo era stato licenziato dal proprio datore di lavoro. Secondo la Cassazione, la condotta tenuta dall'uomo non rappresenta una violazione dei doveri di correttezza e buona fede né degli obblighi di diligenza e fedeltà. L'attività svolta, infatti, poteva essere astrattamente riconducibile a una prestazione lavorativa, tuttavia non era idonea a pregiudicare la guarigione del lavoratore, né tanto meno ad avvalorare l'ipotesi di inesistenza della malattia. I giudici hanno anche ricordato che le attività extralavorative svolte dal lavoratore durante il periodo di assenza per malattia rappresentano un illecito disciplinare solo se provocano un'effettiva impossibilità temporanea di ripresa del lavoro o mettono in pericolo quest'ultima secondo una valutazione ex ante di idoneità, da rapportare al caso concreto. In sostanza, il dipendente in malattia può uscire di casa fuori dagli orari di reperibilità e, in tale periodo, svolgere attività per conto di altri soggetti che non siano in diretta concorrenza con il suo datore di lavoro. Nello stesso tempo egli può compiere solo quelle mansioni non incompatibili con la malattia e che, quindi, non ne rallentano la guarigione. Fonte.www.quotidianosanita'.it
Quotidiano Sanità



20/09/2017
Dg Oms
Copertura sanitaria universale
“Copertura sanitaria universale perché la salute è un diritto umano, non un privilegio”: il Dg Oms chiama all'azione gli Stati all'Assemblea Onu: fino al 2030 si potrebbero risparmiare 97 milioni di morti prematute Il direttore generale dell'Oms è intervenuto all'Assemblea generale delle Nazioni Unite: "Le persone non devono scegliere tra l'acquisto di medicinali e l'acquisto di cibo. La malattia non deve compromettere un'intera famiglia nella povertà perché un colpevole non è in grado di lavorare. Una madre non dovrebbe perdere il suo bambino perché i servizi necessari per salvarlo sono troppo lontani". IL REPORT OMS. 19 SET - La copertura universale della salute (UHC, universal health coverage) è fondamentale per ottenere una migliore salute e benessere per tutte le persone di tutte le età. Fornisce contemporaneamente la prevenzione delle malattie, la promozione della salute e il trattamento per le malattie trasmissibili e non comunicabili, garantendo al contempo che gli individui non vengano indotti in povertà per i costi elevati. L'UHC non è un fine in sé: il suo obiettivo è migliorare le possibilità di ogni persona di raggiungere il massimo livello di salute e benessere e contribuire allo sviluppo socioeconomico e sostenibile. L'ottenimento dell’UHC è quindi essenziale per la produttività economica di ogni nazione, la sicurezza sanitaria, la stabilità sociale - e il benessere, la sicurezza e la produttività di ogni individuo. Il direttore generale Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus, è intervenuto oggi a New York all’assemblea delle Nazioni Unite per rilanciare con forza la “chiamata all’azione” agli Stati per garantire la copertura sanitaria universale che, ha detto “si basa sulla convinzione che la salute sia un diritto umano, non un privilegio. Le persone non devono scegliere tra l'acquisto di medicinali e l'acquisto di cibo. La malattia non deve compromettere un'intera famiglia nella povertà perché un colpevole non è in grado di lavorare. Una madre non dovrebbe perdere il suo bambino perché i servizi necessari per salvarlo sono troppo lontani”. Il Rapporto presentato all’Onu si divide in tre principi e indica altrettante azioni. La copertura sanitaria universale è necessaria per la salute delle persone e per lo sviluppo sostenibile: tutti i paesi devono coprire la salute universale come priorità politica. La copertura sanitaria universale è possibile e conveniente per tutti i paesi: ogni Paese dovrebbe utilizzare prove e strumenti disponibili per determinare il proprio percorso per raggiungerla. La copertura sanitaria universale è centrata sulla popolazione e politicamente intelligente: i paesi devono garantire che soddisfi le esigenze e l'aspirazione delle persone, con la loro partecipazione. Questo l’appello di Tedros alle Nazioni Unite. “Grazie, primo ministro Abe (il primo ministrogiapponese Shinzo Abe, ndr.), per la leadership mostrata come presidente del G7 dello scorso anno e che continui a mostrare. Non vedo l'ora di incontrarti a Tokyo quest'anno per il Forum UHC. La copertura sanitaria universale si basa sulla convinzione che la salute sia un diritto umano, non un privilegio. È uno scandalo per me che la gente debba scegliere tra l'acquisto di medicinali e l'acquisto di cibo. È uno scandalo che la malattia possa portare tutta una famiglia nella povertà perché chi è malato non è in grado di lavorare. È uno scandalo che una madre possa perdere il suo bambino perché i servizi necessari per salvarlo sono troppo lontani. Non possiamo accettare un mondo simile. Non dobbiamo accettare un mondo simile. L'anno scorso ho incontrato un giovane studente di medicina con insufficienza renale nella Repubblica Dominicana, che mi ha detto di aver bisogno di dialisi tre volte alla settimana. "Quanto costa?" Gli chiesi. Non aveva idea. Il governo paga per questo. Senza un trattamento sanitario sarebbe morto. Ma lui può ottenere i servizi di cui ha bisogno e grazie a questi si prepara per una carriera per  aiutare gli altri. Questo è il potere della copertura sanitaria universale. Migliora la salute, ma riduce anche la povertà, crea posti di lavoro, guida la crescita economica, promuove l'uguaglianza di genere e protegge le popolazioni dalle epidemie. Ma la realtà è che in tutto il mondo, più di 400 milioni di persone non hanno accesso ai servizi sanitari essenziali e almeno 100 milioni di persone vengono spinte in povertà per pagare l'assistenza sanitaria dalle proprie tasche. Ciò è inaccettabile. La buona notizia è che l'UHC è realizzabile. In luglio abbiamo presentato le prove che dimostrano che l'85% dei costi per raggiungere gli obiettivi sanitari SDG può essere coperto con risorse nazionali. Questi investimenti avrebbero impedito 97 milioni di morti premature tra oggi e il 2030 e in alcuni paesi avrebbero portato fino a 8,4 anni di aspettativa di vita in più. Tutti i paesi a tutti i livelli di reddito possono fare di più con le risorse che hanno e possono agire ora per migliorare la salute delle loro popolazioni. Mi sentirete dire sempre che la copertura sanitaria universale è una scelta politica. Ci vuole la vision, il coraggio e il pensiero a lungo termine. Ma il risultato dell’impegno è un mondo più sicuro, più equo e più sano, per tutti”.   Fonte.www.quotidianosanita'.it
Quotidiano Sanità



20/09/2017
Medici
Indagine Cimo
Indagine Cimo, 4 camici bianchi su 5 dicono basta alla burocrazia: “I medici vogliono fare i medici” La categoria vuole essere riconosciuta per la propria professionalità e chiede con forza un’autonomia giuridica e contrattuale riconoscendo come interlocutore privilegiato il ministero della Salute, ma non le Regioni. Questi i risultati di un sondaggio su più di 3mila medici condotto dal sindacato con Sics/Welfarelink in occasione del XXXI Congresso elettivo che si terrà a Firenze dal 21 al 23 settembre L'INDAGINE 19 SET - Schiacciati dalla burocrazia sia di tipo amministrativo che clinico. Insoddisfatti di uno stato giuridico che mal rappresenta la mission del loro lavoro. Spesso sulle difensive sia nel rapporto con i pazienti, ma soprattutto con la direzione amministrativa con la quale non mancano i contrasti. Ma nonostante tutto, se dovessero tornare indietro non rinuncerebbero a indossare il camice bianco. E solo il15%, con convinzione, cambierebbe mestiere.   È questo l’identikit dei medici del Ssn che vedono principalmente il loro interlocutore principe nel ministero della Salute e non nelle Regioni. Medici che quasi all’unanimità chiedono un’area contrattuale autonoma. E che quando sentono parlare di liste di attesa non hanno dubbi: l’Intramoenia non c’entra nulla, meglio ricercare la loro causa nella cattiva organizzazione delle Aziende sanitarie. E sul loro futuro? Tre medici su dieci non hanno ben chiaro cosa succederà, ma la maggioranza ritiene che ci sarà un’involuzione della professione medica.   A tracciare profilo e desiderata dei camici bianchi è sondaggio della Cimo condotto su più di 3mila medici con l’ausilio di Sics/Welfarelink, e presentato in vista del XXXI Congresso nazionale che si terrà a Firenze dal 21 al 23 settembre e vedrà l’elezione del nuovo Presidente nazionale.   “In occasione del nostro congresso elettivo che si terrà a Firenze dal 21 al 23 settembre, abbiamo voluto chiedere ai nostri colleghi dipendenti del Ssn, cosa pensano del loro lavoro – ha spiegato Riccardo Cassi, Presidente uscente Cimo – dai risultati emerge una categoria che vuole essere riconosciuta per la propria professionalità, che chiede con forza un’autonomia giuridica e contrattuale e riconosce come interlocutore privilegiato, tra le istituzioni, il Ministero della Salute.   Il sondaggio della Cimo. Cimo ha raggiunto tramite e mail 3.313 medici dipendenti che hanno risposto a 10 domande. Quello che emerge dalle risposte è chiaro e non lascia spazio ad alcun dubbio: l’80% degli intervistati si sente vincolato in ogni atto quotidiano, alla burocrazia, sia di tipo amministrativo che clinico. Il 93% non è soddisfatto dell’attuale stato giuridico del medico perché non rappresenta il suo lavoro “vero” e questo stato dell’arte va ad inficiare il rapporto con i pazienti verso i quali, il 39% dei medici intervistati, ha un rapporto di difesa. La percentuale sale quando la domanda riguarda il rapporto tra medico e direzione amministrativa: il 70% ha dichiarato di sentirsi in contrasto e di doversi sempre difendere.   “Nei mesi scorsi, politici di vecchi e nuovi partiti hanno dichiarato che la libera professione è la causa delle liste di attesa. Così abbiamo chiesto ai nostri colleghi cosa ne pensassero – continua Cassi – e il 43% ha risposto che non esiste alcuna correlazione, mentre il 38,5% attribuisce la causa delle liste di attesa, alla cattiva organizzazione delle Aziende sanitarie”.   Dall’indagine emerge anche una forte preoccupazione per l’attuale contesto socio economico: il 30% non ha chiaro il futuro del medico e il 61,4% immagina un’involuzione della professione. La soluzione auspicata dai medici intervistati, sta nell’avere come interlocutore privilegiato il Ministero della Salute (68,7%), prima delle Regioni a cui vogliono far riferimento solo il 22% e prima anche della Funzione Pubblica, riconosciuto solo dal 9,2%, e avere un’area contrattuale autonoma, richiesta dal 90% di quelli che hanno risposto al questionario.   “Questi dati confortano l’azione che Cimo ha seguito in questi anni nei riguardi della professione medica – commenta Cassi – azione che sarà rilanciata dalla dirigenza che uscirà dal congresso elettivo dei prossimi giorni e che porterà ad una nuova presidenza del sindacato. Le persone e le strategie possono cambiare ma la battaglia in difesa della professione e nel riconoscimento di uno stato giuridico che metta l’atto medico al centro delle cure, è nel Dna di Cimo. I medici scelgono questa professione per curare le persone e, nonostante la demotivazione derivante dalle riforme fallimentari degli anni 90, il 70 % dei medici intervistati sceglierebbe ancora questa professione. È compito del sindacato ricreare le condizioni, perché possano farlo nelle migliori condizioni possibili”.  Fonte.www.quotidianosanita'.it
Quotidiano Sanità



20/09/2017
Raccolta farmaci per i poveri
Camera approva mozione
Raccolta farmaci per i poveri. Camera approva mozione per esportare modello napoletano in tutta Italia L’iniziativa “Un farmaco per tutti” è promossa dall’Ordine dei farmacisti della provincia di Napoli insieme alla Curia, Federfarma e Azienda ospedaliera Santobono Pausilipon) e attiva da due anni a Napoli e provincia. Finora ha permesso di distribuire, in Campania, oltre 90mila confezioni di farmaci o dispositivi medico-chirurgici. La mozione 19 SET - “Un farmaco per tutti” è il progetto messo in campo dall’Ordine dei farmacisti della provincia di Napoli insieme alla Curia, Federfarma e Azienda ospedaliera Santobono Pausilipon, per venire incontro ai bisogni assistenziali degli indigenti. Ma l’obiettivo è esportarla in tutta Italia. La Camera ha infatti approvato ieri una mozione proposta da Forza Italia e dall'onorevole Mara Carfagna che, tra le altre cose, impegna il governo di Roma a verificare l’adozione di un modello di raccolta e distribuzione farmaceutica, su base volontaristica e per fini sociali, che mutui l’iniziativa napoletana “Un farmaco per tutti” (da due anni è attiva a Napoli e provincia) e consenta di replicare il progetto celermente in tutta Italia. L’iniziativa che ha carattere  permanente (è possibile donare e raccogliere farmaci ogni giorno) è su base volontaria. “Questa iniziativa è un ulteriore segnale di attenzione verso il territorio - commenta Vincenzo Santagada, presidente dell'ordine dei farmacisti di Napoli - e in particolare per quelle fasce sociali di cittadini che in questo momento soffrono e subiscono la cosiddetta povertà sanitaria”. Finora in Campania sono già state distribuite oltre 90mila confezioni di farmaci o dispositivi medico-chirurgici facendo risparmiare circa un milione di euro al Servizio sanitario nazionale. Fonte.www.quotidianosanita'.it
Quotidiano Sanità



17/09/2017
Cancro del colon
I paesi del Mediterraneo
Cancro del colon. I Paesi del Mediterraneo uniscono le forze con l'obiettivo di sconfiggerlo Il workshop promosso da Colomed che si terrà lunedì 18 settembre 2017 all'Istituto Superiore di Sanità, sarà dedicato alla collaborazione tra Paesi mediterranei nella lotta contro il cancro intestinale. La creazione di un registro scientificamente validato per i tumori del colon nei Paesi mediterranei sarà il primo obiettivo dei Paesi partecipanti, che mirano a uniformare le informazioni, al momento frammentarie, sull'incidenza di questo tumore.  15 SET - Sotto il coordinamento di COLOMED, primo network mediterraneo contro il cancro del colon, si riuniscono a Roma il 18 Settembre presso l'Istituto Superiore di Sanità esperti provenienti dai Paesi mediterranei per porre le basi di una nuova cooperazione intermediterranea volta a combattere questo tumore. La creazione di un registro scientificamente validato per i tumori del colon nei Paesi mediterranei sarà il primo obiettivo dei Paesi partecipanti, che mirano a uniformare le informazioni, al momento frammentarie, sull'incidenza di questo tumore.   Di particolare importanza è la prospettiva di poter raccogliere i dati riguardanti la fascia under 50 della popolazione, in cui nell'ultimo decennio si è verificato un forte aumento di incidenza dei tumori colorettali particolarmente nei Paesi industrializzati. Essendo il cancro del colon fortemente influenzato da fattori socio-culturali e legati allo stile di vita, delineare strategie comuni potrà rappresentare un beneficio per tutti i Paesi coinvolti nel network, che si impegnano in tal modo a raccogliere le informazioni disponibili e a promuovere lo scambio di risorse, personale e conoscenze.   L'impegno contro il cancro del colon rappresenta un'intesa trasversale che unisce Paesi del Nord e del Sud del Mediterraneo con l'obiettivo condiviso di stimolare la collaborazione tra i centri impegnati nella ricerca, prevenzione e cura di questo tumore e di creare nuove sinergie in ambito di salute pubblica.   Anne Zeuner Coordinatrice progetto Colomed e ricercatrice ISS   Lidia Colace Ricercatrice unità di ricerca progetto Colomed Fonte.www.quotidianosanita'
Quotidiano Sanità



17/09/2017
Tumori
Rapporto Aiom
Tumori. Rapporto Aiom. Nel 2017 stimati 369mila nuovi casi, ma 4 su 10 sono evitabili. Aumentata del 24% la sopravvivenza in 7 anni Diminuiscono le diagnosi a stomaco e colon-retto, in crescita pancreas, tiroide e melanoma. Al Nord ci si ammala di più, ma al Sud si sopravvive di meno. Presentata al Ministero della Salute la settima edizione del volume sui numeri delle neoplasie redatto dall’Airtum e dalla Fondazione Aiom. Dagli oncologi la richiesta di proroga del Fondo per i farmaci innovativi oncologici con risorse ad hoc anche per il 2018 15 SET - Sono 369mila i nuovi casi di tumore in Italia stimati nel 2017 (192mila fra i maschi e 177mila fra le femmine), nel 2016 erano 365.800. È un vero e proprio boom di diagnosi di cancro del polmone fra le donne: 13.600 nel 2017 (+49% in 10 anni), dovuto alla forte diffusione del fumo fra le italiane. Crescono in entrambi i sessi anche quelli del pancreas, della tiroide e il melanoma; in calo, invece, le neoplasie allo stomaco e al colon-retto, grazie anche alla maggiore estensione dei programmi di screening. E oggi oltre 3 milioni e trecentomila cittadini (3.304.648) vivono dopo la diagnosi, addirittura il 24% in più rispetto al 2010. Poi, una conferma: il cancro colpisce più al Nord della Penisola, ma al Sud si sopravvive di meno.   È questo il censimento ufficiale, giunto alla settima edizione, che fotografa l’universo cancro in tempo reale grazie al lavoro dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom), dell’Associazione Italiana Registri Tumori (Airtum) e della Fondazione Aiom, raccolto nel volume “I numeri del cancro in Italia 2017” presentato oggi all’Auditorium del Ministero della Salute in un convegno nazionale.   “L’incidenza è in netto calo negli uomini (-1.8% per anno nel periodo 2003-2017), legata principalmente alla riduzione dei tumori del polmone e della prostata, ed è stabile nelle donne, ma si deve fare di più per ridurre l’impatto di questa malattia, perché oltre il 40% dei casi è evitabile – ha affermato Carmine Pinto, presidente nazionale Aiom – ormai è scientificamente provato che il cancro è la patologia cronica che risente più fortemente delle misure di prevenzione. Migliaia di studi condotti in 50 anni hanno dimostrato con certezza il nesso di causalità fra fattori di rischio quali gli stili di vita sbagliati (fumo di sigaretta, sedentarietà e dieta scorretta), agenti infettivi, a cui può essere ricondotto l’8,5% del totale dei casi (31.365 nel 2017), esposizioni ambientali e il cancro. Oggi abbiamo a disposizione armi efficaci per combatterlo, come l’immunoterapia e le terapie target che si aggiungono alla chemioterapia, chirurgia e radioterapia. Tutto questo, unito alle campagne di prevenzione promosse con forza anche da Aiom, si traduce nel costante incremento dei cittadini vivi dopo la diagnosi”.   Richiesta la proroga del Fondo per farmaci innovatici con risorse ad hoc per il 2018. Un sostegno importante per reggere l’impatto con le terapie innovative è arrivato con il Fondo destinato ai farmaci oncologici innovativi che ha messo sul piatto 500 milioni di euro. “Lo scorso anno si temeva che il nostro sistema sanitario non riuscisse a reggere le conseguenze economiche dovute all’arrivo dei nuovi trattamenti  - ha aggiunto Pinto – siamo riusciti ad evitare questo rischio grazie al Fondo che ci ha permesso di garantire a tutti i pazienti le migliori cure disponibili. Per questo rilanciamo anche per il 2018 la richiesta di proroga del Fondo con risorse dedicate”.     “La conoscenza dei dati presentati in questo volume – ha spiegato il Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, nella prefazione – potrà rendere più facile e incisiva l’azione di miglioramento del livello delle prestazioni e dei servizi, in particolare per lo sviluppo dei percorsi e delle reti oncologiche, garanzia di uguale accesso, tempestività, qualità e appropriatezza sia negli iter diagnostici che nelle cure per tutti i cittadini in tutte le Regioni. Ricerca clinica e traslazionale, umanizzazione, rapporto medico-paziente, informazione e prevenzione sono alcune tra le parole chiave da conoscere ed implementare per chi ha compiti di responsabilità nei confronti dei cittadini ammalati di tumore”.   I numeri. Nel 2014 (ultimo dato Istat disponibile) sono stati 177.301 i decessi attribuibili al cancro. Le neoplasie rappresentano la seconda causa di morte (29% di tutti i decessi) dopo le patologie cardio-circolatorie (37%). Il tumore che ha fatto registrare nel 2014 il maggior numero di decessi è quello al polmone (33.386), seguito da colon-retto (18.671), mammella (12.330 decessi), pancreas (11.186) e stomaco (9.557). “La mortalità – ha detto Stefania Gori, presidente eletto Aiom – continua a diminuire in maniera significativa in entrambi i sessi come risultato di più fattori, quali la prevenzione primaria (in particolare la lotta al tabagismo), la diffusione degli screening su base nazionale e il miglioramento diffuso delle terapie in termini di efficacia e di qualità di vita in un ambito sempre più multidisciplinare e integrato. Più pazienti hanno lunghe sopravvivenze e più persone guariscono dal cancro: e questo è un importante risultato di sanità pubblica”.   Complessivamente, la sopravvivenza a 5 anni nelle donne raggiunge il 63%, migliore rispetto a quella degli uomini (54%), in gran parte determinata dal tumore del seno, la neoplasia più frequente fra le italiane, caratterizzata da una buona prognosi. I cittadini che si sono ammalati nel 2005-2009 hanno una sopravvivenza migliore rispetto a chi è stato colpito dalla malattia nel quinquennio precedente sia negli uomini (54% vs 51%) che nelle donne (63% vs 60%). Le percentuali più alte a 5 anni si registrano in Emilia-Romagna e Toscana sia negli uomini (56%) che nelle donne (65% donne). “Un bilancio nel suo complesso fortemente positivo – continua Pinto – perché, anche con minori risorse economiche disponibili in percentuale del Pil rispetto ai Paesi dell’Europa occidentale, la sanità pubblica italiana raggiunge questi importanti risultati. La bestia nera in termini di mortalità in entrambi i sessi riguarda ancora il tumore del pancreas (solo 8% i pazienti vivi a 5 anni dalla diagnosi)”.   Le 5 neoplasie più frequenti nel 2017 nella popolazione sono quelle del colon-retto (53mila nuovi casi), seno (51mila, in crescita solo nelle fasce di età dove si è avuto un ampliamento dello screening, cioè fra i 45-49 anni e nelle over 70), polmone (41.800), prostata (34.800) e vescica (27mila). E si conferma, anche dal Rapporto 2017, un’Italia a due velocità.   Ci si ammala di più al Nord, ma al Sud si sopravvive di meno. “Emerge una forte difformità tra il numero di nuovi casi registrati al Nord rispetto al Centro e Sud sia negli uomini che nelle donne – ha spiegato Lucia Mangone, presidente Airtum – in particolare, al Nord ci si ammala di più rispetto al Sud. Il tasso d’incidenza tra gli uomini è più basso dell’8% al Centro e del 17% al Sud/Isole rispetto al Nord e per le donne del 5% e del 18%. Alla base di queste differenze vi sono fattori protettivi che ancora persistono al Sud, ma anche una minore esposizione a fattori cancerogeni (abitudine al fumo, inquinamento ambientale ecc). Per contro, al Sud si sopravvive di meno: nelle regioni meridionali, dove gli screening oncologici sono ancora poco diffusi, non si è osservata la riduzione della mortalità e dell’incidenza dei tumori della mammella, colon-retto e cervice uterina”. Nel mondo il ruolo delle infezioni croniche è considerato responsabile del 16% di tutte le neoplasie per l’Europa questa stima è pari al 7%, prosegue Gori “una stima simile a quanto evidenziato per l’Italia (8,5%). Nel nostro Paese è stato calcolato che, tra i tumori dovuti a agenti infettivi, l'Helicobacter pylori è causa del 42%, il virus dell’epatite B e C del 35%, il virus del papilloma umano (HPV) del 20%. Nel complesso quasi 4.400 casi ogni anno sono riconducibili all’HPV, ma oggi è disponibile un’arma fondamentale per combatterlo, la vaccinazione. In Italia è offerta gratuitamente e attivamente alle dodicenni in ogni Regione dal 2007-2008. Inoltre, tra le vaccinazioni previste nei nuovi Lea e nel Piano nazionale Vaccini 2017-2019 ora vi è anche quella contro l’Hpv nei maschi undicenni”.   L’importanza delle campagne di prevenzione. “I cittadini devono essere sensibilizzati sull’importanza di aderire alle campagne di prevenzione – conclude Fabrizio Nicolis, presidente Fondazione Aiom – lo dimostrano i risultati ottenuti grazie all’estensione del programma di screening colorettale, quello più recentemente implementato in Italia. A livello nazionale fino al 2005 le esperienze di screening colorettale erano sporadiche, ma in seguito hanno avuto ampia diffusione. L’incremento è stato notevole, passando da una copertura di poco più del 10% nel 2005 a quasi il 75% nel 2015. L’efficacia di questi programmi è tanto maggiore quanto più elevata è l’adesione all’invito. Il dato del 2015 non è, però, del tutto soddisfacente: complessivamente solo il 43% degli invitati ha aderito, con notevoli differenze fra Nord (53%), Centro (36%) e Sud (25%). Serve ancora molto impegno su questo fronte”.  Fonte.www.quotidianosanita'.it
Quotidiano Sanità



15/09/2017
Forum Mediterraneo della Sanità
Avviato tavolo
Forum Mediterraneo della Sanità. Avviato un tavolo di confronto sulle strategie innovative per l’acquisto e la gestione di tecnologie e servizi biomedicali Attorno al tema dell’innovazione tecnologica, e delle soluzioni per consentirne introduzione e gestione ottimale nel SSN, Vasco Giannotti, Fondazione Sicurezza in Sanità, ha riunito in un inedito tavolo di confronto esponenti della Pubblica Amministrazione, rappresentanti dell’industria, università e associazioni di categoria. “È necessario ed urgente promuovere questo tipo di dialogo in cui i principali attori del sistema possano discutere apertamente ed elaborare proposte concrete da far giungere al decisore politico” 14 SET - Superare la fatica del confronto e la diffidenza tra i diversi operatori del settore; con questo richiamo iniziale di Vasco Giannotti si è aperto a Bari, all’interno del Forum Mediterraneo della Sanità, un tavolo di confronto cui hanno partecipato esponenti della Pubblica Amministrazione, rappresentanti di grandi gruppi industriali, università e associazioni professionali e di categoria. Punto di partenza del dibattito è stata la necessità di elaborare idee e proposte condivise per promuovere strategie innovative di acquisto volte a favorire l’introduzione dell’innovazione tecnologica nel nostro Servizio Sanitario Nazionale, in cui l’obsolescenza delle apparecchiature diagnostiche e di cura sta raggiungendo livelli che mettono a rischio qualità e sicurezza delle prestazioni sanitarie.   La prima parte dell’incontro, coordinato da Francesco Surico DG di InnovaPuglia, ha proposto il punto di vista di soggetti istituzionali (PA, Università, Assobiomedica) che da diverse angolature stanno da tempo avviando esperienze volte a favorire l’innovazione tecnologica in sanità, scontrandosi con limiti e difficoltà che ne hanno finora ostacolato la diffusione capillare.   Gianluca Postiglione e Giovanni Porcelli, DG e Presidente di So.Re.Sa soggetto aggregatore della Regione Campania, hanno centrato l’attenzione sul necessario passaggio da un’innovazione tecnologica spinta dal mercato e “subita” dalla PA ad un nuovo approccio in cui è la PA che individua le proprie necessità di innovazione ed innesca un processo di dialogo virtuoso con le aziende.   Su questo tema So.Re.Sa ha annunciato la stipula di protocollo per la stesura condivisa di procedure di gara con Assobiomedica, il cui Direttore Generale Fernanda Gellona ha provocatoriamente invitato i presenti a superare gli stereotipi che dipingono da un lato l’industria come controparte cattiva della PA che a sua volta viene descritta come inefficiente per definizione; non è così ed è necessario mettersi tutti attorno ad un tavolo e proseguire il dibattito odierno. Dati numerici ed un elenco di esperienze positive sono stati portati da Stefano Vezzosi, Direttore del Dipartimento ICT e Tecnologie Sanitarie di ESTAR Toscana, che ha sottolineato la necessità di competenze di project management dal lato pubblico, presenti ma ancora insufficienti.   Chiare indicazioni tecniche di profilo finanziario e giuridico sono state fornite da Veronica Vecchi di SDA Bocconi, che ha inquadrato nelle Partnership Pubblico-Privato, ed in particolare nel PPP tecnologico, il meccanismo più adatto a innescare percorsi finalmente virtuosi di rinnovo tecnologico e gestione innovativa in sanità. Con dati ed esempi numerici, la professoressa ha illustrato alcuni precisi meccanismi di incentivazione fiscale, che sono stati proposti al MEF che potrebbe tradurli in decreti collegati alla prossima legge di bilancio. Ha chiuso la prima parte del vivace dibattito Marco Di Ciano di InnovaPuglia che ha illustrato gli esiti di una serie di iniziative promosse con il meccanismo degli Appalti Pubblici Pre-Commerciali, volti a stimolare ricerca, sviluppo e prototipazione in una collaborazione sinergica tra PA e soggetti economici.   Sono poi intervenuti Stefania Lovisatti di GE Healthcare, Anna Citarrella di Johnson&Johnson, Luana Ciarello di Medtronic, Aldo De Giuli di TBS Group, Danilo Greco di Siemens Healthineers e Marisa Giampaoli di Hospital Consulting, tutte aziende multinazionali del settore tecnologico sempre più focalizzate dalla vendita di apparecchiature e dispositivi verso la fornitura di soluzioni integrate, servizi “value based” in cui è la misura degli outcomes il termometro della vera innovazione che fa salute. Ne sono emerse considerazioni generali e proposte concrete che hanno acceso il dibattito e coinvolto i presenti in un utile e costruttivo confronto.   A tirare le fila conclusive dell’incontro è stato chiamato Stefano Bergamasco, VicePresidente dell’Associazione Italiana Ingegneri Clinici, associazione che rappresenta una professionalità imprescindibile nei processi di innovazione tecnologica in sanità, e che è presente con i suoi iscritti all’interno di tutte le realtà che hanno animato il dibattito: ospedali, società di servizi, centrali di acquisto, aziende produttrici. Nel ripercorrere i temi salienti discussi, sono state richiamate le “keyword” principali emerse: esigenza di formazione del management pubblico su questi argomenti, incentivazione dei meccanismi innovativi di procurement tecnologico (defiscalizzazione, incentivi sui DRG, etc.), superamento delle diffidenze reciproche, maggiore apertura del dialogo tra PA e industria troppo spesso ingabbiato da timori e cautele.   Conclude Giannotti “Porteremo al tavolo del legislatore idee concrete e proposte operative. Il confronto di oggi, per il quale ringrazio tutti i relatori ed il folto pubblico presente, ha fatto emergere tre aree su cui focalizzeremo queste indicazioni: sono necessari incentivi mirati, come la possibile defiscalizzazione, a supporto dei nuovi processi di procurement delle tecnologie; è urgente operare sul piano della cultura del management della Pubblica Amministrazione, con iniziative di confronto e formazione che rendano capillarmente noti e disponibili gli strumenti per l’avvio e la gestione di meccanismi di acquisto obiettivamente complessi; il punto di partenza deve essere una chiara raccolta dei bisogni che porti ad una programmazione cui le nuove forme di procurement discusse oggi possano dare risposta efficace.”   Prossimo appuntamento a novembre al Forum Risk Management, in cui il tavolo di lavoro così efficacemente avviato verrà riproposto, sempre con l’obiettivo di giungere a proposte e soluzioni concrete. Fonte.www.quotidianosanita'.it
Quotidiano Sanità



14/09/2017
Forum Mediterraneo della Sanita'
Piano ospedaliero pugliese
Forum Mediterraneo della Sanità. Piano ospedaliero pugliese, per Mazzarano: “Ridimensionati eccessi del passato sinonimo di quantità ma non di efficienza” L’assessore allo Sviluppo Economico al Forum Mediterrraneo della Sanità: “Il nostro compito - ha detto - è far crescere il livello di ricerca e innovazione mettendo in rete tutte le opportunità e le risorse disponibili”. Per il direttore del Dipartimento salute Giancarlo Ruscitti è anche “imporatnte trattenere i giovani che vengono ben formati nei nostri politecnici e università e collaborare con loro su soluzioni assistenziali innovative”. 13 SET - “La Puglia sta facendo la sua parte puntando sulla qualità dell’assistenza, sul contenimento della spesa e sull’innovazione”. Lo ha detto Michele Mazzarano, assessore allo Sviluppo Economico della Regione Puglia aprendo i lavori del convegno su “Europa e Regione: fondi europei per l’innovazione nella salute e nel sociale”, svoltosi nell’ambito del Forum Mediterrraneo della Sanità. Due giorni (ieri e oggi) di approfondimento e confronto organizzati dall’Aress Puglia e svoltisi nel Nuovo Centro Congressi della Fiera del Levante.   “Il sistema imprenditoriale e produttivo pugliese negli ultimi dieci anni si è fortemente innovato – ha detto Mazzarano – ed ha puntato sulla ricerca e sull’innovazione come risposta alla crisi. Un processo reso possibile dalla forte  attenzione delle istituzioni al sistema degli aiuti europei. Una politica che ha dato risultati positivi non solo in settori innovativi come l’aerospazio, la meccatronica, la chimica farmaceutica ma, in genere, su tutto l’export regionale cresciuto di 1,2 miliardi di euro in valore assoluto”. “Ora il sistema sanitario – ha aggiunto Mazzarano - si confronta con due esigenze: l’efficienza e la sicurezza delle prestazioni sanitarie. Lo stesso riordino ospedaliero varato in Puglia è proteso a questi obiettivi. Abbiamo ridimensionato gli eccessi di un passato che puntava su una quantità che non era sinonimo di efficienza”. L’assessore regionale allo Sviluppo Economico ha sottolineato che “la propensione delle imprese pugliesi a investire in tecnologia può favorire l’introduzione di processi innovativi in campo sanitario. Il nostro compito è quello di far crescere ulteriormente il livello di ricerca e innovazione agendo in una logica di sistema che metta in rete tutte le opportunità e le tante risorse disponibili con una pianificazione ed una progettualità multidisciplinari”. Mazzarano ha ripreso il concetto già espresso ieri dal Presidente della Regione Michele Emiliano: “Compensare con l’innovazione le minori risorse assegnate alla Puglia dal Fondo Sanitario Nazionale. Dobbiamo mettere in connessione la richiesta di sicurezza ed efficienza delle prestazioni sanitarie con l’innovazione tecnologica”. Giancarlo Ruscitti, Direttore del Dipartimento Promozione della Salute della Regione Puglia ha sottolineato che “la cooperazione tra la componente sanitaria regionale, cioè l’Aress gestita da Giovanni Gorgoni, il Dipartimento e la Sezione dello Sviluppo Economico, è sempre stata fruttuosa. Utilizzando Casa Puglia a Bruxelles siamo riusciti spesso a essere presenti su tavoli in cui storicamente le regioni meridionali italiane sono sempre state assenti”. Per Ruscitti, inoltre, “é importante trattenere i giovani che vengono ben formati nei nostri politecnici e nelle nostre università e collaborare con loro per dare soluzioni innovative nell’assistenza sanitaria. La tecnologia, infatti, è uno degli elementi ponderanti del nostro Piano Operativo Sanitario che mira a dare due risposte differenziate sul territorio pugliese. La prima è migliorare la rete ospedaliera per gli acuti usando tecnologie per fare interventi chirurgici e terapeutici che fino a poco tempo fa in Puglia non si potevano eseguire. L’altro, invece, è la gestione delle cronicità. La nostra regione sta invecchiando rapidamente, per cui bisogna consentire ai pugliesi, ovunque risiedono, di avere le prestazioni di cui hanno bisogno senza spostarsi verso i grandi centri urbani”. Fonte.www.quotidianosanita'.lit
Quotidiano Sanità



13/09/2017
Cassazione
Ospedale responsabile
Cassazione. Ospedale responsabile per morte paziente durante intervento chirurgico? Spetta al danneggiato dimostrare il nesso di causalità  A citare in giudizio la struttura sanitaria era stata in Piemonte una donna che chiedeva il risarcimento del danno subito in conseguenza della morte del marito, verificata durante un intervento chirurgico. Il giudice aveva accertato che la ragione dell'arresto cardiaco che aveva determinato il decesso era rimasta oscura, e per questo ha escluso il nesso tra la circostanza e l'emorragia verificata durante l'intervento, con la conseguenza che per la struttura sanitaria  non è mai insorto un problema di onere probatorio. LA SENTENZA 11 SET - Chi porta in giudizio una struttura sanitaria per responsabilità contrattuale per inesatto adempimento della prestazione medica a cui è stato sottoposto, ha l’onere probatorio da rispettare. La Cassazione ha infatti ribadito che spetta al danneggiato "fornire la prova del contratto e dell’aggravamento della situazione patologica (o dell’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento) e del relativo nesso di causalità con l’azione o l’omissione dei sanitari, restando a carico dell’obbligato la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile".   I fatti A citare in giudizio la struttura sanitaria era stata in Piemonte una donna, che chiedeva il risarcimento del danno subito in conseguenza della morte del marito, verificata durante un intervento chirurgico. L’uomo, dopo avere subito senza adeguato consenso informato intervento un chirurgico di asportazione della prostata e di una cisti all'epididimo destro, a causa di una lesione iatrogena intraoperatoria aveva subito una grave emorragia ed era deceduto per arresto cardiaco. Nel corso del giudizio, il giudice aveva accertato che la ragione dell'arresto cardiaco che aveva determinato il decesso era rimasta oscura, e per questo ha escluso il nesso tra la circostanza e l'emorragia verificata durante l'intervento, con la conseguenza che per la struttura sanitaria  non è mai insorto un problema di onere probatorio. La donna ha ricorso in Cassazione, ma anche in questo caso la Corte (sentenza 18392/2017 della Cassazione Civile) ha respinto le pretese, escludendo quindi eventuali risarcimenti. La decisione Nella pronuncia, i giudici hanno anche ribadito che, invece, a carico della struttura sanitaria resta la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che gli esiti lamentati dal danneggiato siano derivati da un evento imprevisto e imprevedibile. Tuttavia si tratta di un onere probatorio per la struttura solo se il danneggiato abbia provato il nesso di causalità fra la patologia e la condotta dei sanitari. "Si deve a questo proposito distinguere – spiegano i giudici - fra la causalità relativa all'evento (causalità materiale) ed al consequenziale danno (causalità giuridica) e quella concernente la possibilità (rectius impossibilità) della prestazione.  La causalità relativa all'evento ed al danno consequenziale è comune a ogni fattispecie di responsabilità, contrattuale ed extracontrattuale, e caratterizza negli stessi termini, sia in ambito contrattuale che extracontrattuale, gli oneri di allegazione e di prova del danneggiato”. Fonte.www.quotidianosanita'.it
Quotidiano Sanità



13/09/2017
Oncologia
Gestire l'innovazione
Gestire l’innovazione: la storia di successo dell’oncologia italiana, esempio per l’Europa Gli oncologi dell’Aiom, alla vigilia del loro congresso nazionale, da Madrid, dove è in corso l’europeo di oncologia (Esmo), chiedono alle istituzioni di confermare anche per il 2018 il fondo per l’innovazione , allargandolo ad altre molecole innovative e ai test richiesti per la loro prescrizione. Ma questo è solo un tassello, anche se importante, del Patto contro il Cancro, ricorda la presidente eletta Stefania Gori. Reti oncologiche e strategia unitaria dalla prevenzione alla riabilitazione oncologica sono ancora tutte da costruire. 11 SET - Confermare il fondo per l’innovazione anche per il 2018. Questa la richiesta di Carmine Pinto, presidente dell’AIOM che tra poco più di un mese lascerà la presidenza a Stefania Gori. 500 milioni di euro che consentiranno agli italiani di accedere ai farmaci innovativi. E non solo. La richiesta degli oncologi va oltre , a comprendere anche quei test di biologia molecolare che permettono di pianificare una terapia su misura per il singolo paziente e di prevedere le probabilità di risposta al trattamento senza incorrere in inutili sprechi. “Stiamo raccogliendo i frutti di un grande lavoro -  afferma Pinto – grazie alla gestione del ‘nuovo’, che passa anche attraverso il fondo per l’oncologia. Chiediamo dunque che questa iniziativa sia replicata anche per il 2018 e per questo abbiamo invitato al nostro prossimo congresso nazionale il premier Gentiloni. Il fondo dovrà in futuro coprire però non solo il farmaco ma anche i test, richiesti dalle autorità regolatorie, per poter prescrivere una determinata molecola. Solo con una gestione oculata dell’innovazione potremo garantire che il ‘nuovo che arriva’, arrivi realmente ai nostri pazienti”.   Con l’iniziativa del fondo per l’innovazione l’Italia è diventata un punto di riferimento virtuoso per tutti i Paesi europei. Anche nei risultati: a fronte di una spesa media per il Ssn di 4-5 punti percentuali inferiore alla media europea, i risultati di sopravvivenza da noi sono tra i più alti in Europa (la sopravvivenza a 5 anni in Italia è superiore a quella del Centro e Nord Europa). Merito naturalmente di una regia oculata ma anche delle grandi novità terapeutiche degli ultimi anni. E l’Italia in questo non è restata alla finestra: su 49 nuovi farmaci oncologici commercializzati tra il 2010 e il 2014, 31 sono stati messi a disposizione dei pazienti italiani (e altri 6-7 dal 2014 in poi), fatto questo che colloca il nostro Paese al quarto posto subito dopo USA (41 farmaci innovativi disponibili), Germania (38) e Regno Unito (37).   Nel 2016 la Commissione tecnico-scientifica dell’Aifa ha attribuito il carattere di innovatività a 6 farmaci (2 di area ematologica e 4 per l’oncologia medica). La valutazione si basa su un criterio multidimensionale, che tiene conto di tre elementi fondamentali: bisogno terapeutico, valore terapeutico aggiunto e qualità delle evidenze scientifiche. “C’è bisogno anche per il 2018 – rilancia Stefania Gori – di risorse dedicate, che dovrebbero diventare parte integrante di un più ampio ‘Patto contro il Cancro’. Chiediamo per questo alle Istituzioni un programma e una regia unici a livello nazionale contro i tumori, che garantiscano una strategia unitaria per combattere la malattia dalla prevenzione, alle terapie, fino alla riabilitazione, dall’accompagnamento di fine vita, all’umanizzazione dell’assistenza, fino alla ricerca, in grado così di incidere a 360 gradi sull’impatto di questa patologia nel nostro Paese. Potremmo in qualche modo delineare un modello italiano di condivisione della lotta alla malattia tra clinici, pazienti e istituzioni”.   I farmaci antineoplastici nel nostro Paese rappresentano la prima categoria terapeutica, costata nel 2016 quasi 4,5 miliardi di euro.   Maria Rita Montebelli Fonte.www.quotidianosanita'.it
Quotidiano Sanità



13/09/2017
Sopravvivere al cancro
Istruzioni per l'uso
Sopravvivere al cancro: arrivano le istruzioni per l’uso scritte da Esmo e Ecpc Presentata  a Madrid la ‘Guide for Patients on Survivorship’ realizzata a quattro mani dalla European Cancer Patient Coalition e dalla European Society of Clinical Oncology. Contiene le istruzioni per l’uso per tornare ad una vita piena e normale dopo la malattia, ma anche una sezione per la storia clinica del paziente da condividere tra specialista oncologo e medico di famiglia, una sorta di piano di sorveglianza che viaggia col paziente. La guida sarà tradotta in tutte le lingue europee e sarà implementata grazie alle associazioni scientifiche e di pazienti dei singoli Paesi. 11 SET - Presentato in questi giorni a Madrid, durante il congresso dell’Associazione Europea di Oncologia medica (Esmo) la prima guida europea per i sopravvissuti ad un tumore. Realizzato a quattro mani dagli esperti dell’Esmo e dalla  European Cancer Patient Coalition (ECPC),in collaborazione con la Psycho-Oncology Society (Ipos), il documento, mira a diventare una sorta di ‘passaporto’ per i pazienti che hanno superato un tumore, per condividere informazioni sul loro stato di salute tra specialista oncologo e medico di famiglia. Ma “Survivorship” è molto più di questo. Sopravvivere al cancro è un work in progresscon tanti risvolti. Superare la malattia è solo il primo passo. Ma guarire è un’altra storia. Guarire significa riconquistare tutta una serie di ambiti di vita, dal lavoro, alla vita sessuale, al sogno di avere un figlio, messi tra parentesi dalla malattia. Conoscere e imparare a gestire gli effetti collaterali (a questo è dedicato tutto un capitolo che tratta tra l’altro di chemo-brain, di neuropatie periferiche, di disturbi del sonno, ecc), ritrovare serenità ed equilibrio anche in famiglia, condividere pensieri e preoccupazioni con il medico ma anche con altri ‘sopravvissuti’, fare prevenzione, sono alcuni dei punti toccati con linguaggio chiaro ed esauriente dalla guida.   “In questo modo – commenta Francesco De Lorenzo, presidente della European Cancer Patient Coalition (ECPC) -  il paziente viene informato sulle misure di prevenzione per evitare secondi primi tumori, su cosa fare per recuperare le condizioni ottimali in termini di sostegno psicologico di riabilitazione, di prevenzione degli effetti tardivi delle terapie”. Oltre alle istruzioni per l’uso, dirette al paziente, “Survivoship” contiene anche un piano di sorveglianza che viene scritto dal medico oncologo o dalla nurse, nel momento in cui il paziente termina la fase acuta del trattamento, una sorta di ‘passaporto’ del paziente.   “E’ un grande successo – prosegue De Lorenzo -  per la cura delle persone che sono libere da malattia, o sono del tutto guarite o sono in uno stadio di ‘cronicizzazione’ del tumore.  Ed è un modo per evitare che, ancora oggi, si consideri la guarigione del cancro come un miracolo di cui essere soddisfatti, senza tornare ad una condizione ottimale, come prima del tumore. Questa è una svolta per l’Europa che porterà gradualmente i medici del vecchio continente a fare quello che l’associazione degli oncologici americani, (Asco) fa già da parecchio tempo. E’ anche un grande successo delle associazioni di malati europei (Coalizione Europea dei malati di cancro, ECPC) perché l’Esmo, sotto la nostra spinta ha condiviso questo documento ed è una grande scommessa che insieme possiamo vincere”.   Le Associazioni dei pazienti partecipano alle iniziative prese a livello europeo attraverso la EU Joint Action Cancer Control e prendono parte alla definizione delle raccomandazioni. Ma sono anche una grande risorsa per far sì che le raccomandazioni passino dal tavolo della politica al letto del paziente. Tutte le raccomandazioni emerse dai 17 Paesi che hanno condiviso la Joint Action sono state inserite nella guida  alla sopravvivenza scritta con Esmo.   “Dall’Europa parte oggi un grande messaggio – prosegue De Lorenzo - Il presidente Esmo uscente (l’italiano Fortunato Ciardiello) e quello entrante (lo spagnolo Josep Tabernero) hanno condiviso la necessità di non preoccuparsi solo di curare i malati ma di accompagnarli fino al ritorno alla vita normale. La cosa importante per i vari Paesi europei è adesso che le singole società scientifiche aderenti ad Esmo (Aiom per l’Italia) trasferiscano nei Paesi membri questa iniziativa. In Italia sarà ancora più facile, perché abbiamo fatto un gran lavoro ad un tavolo coordinato dall’Aiom, che ha prodotto una consensus conference alla quale hanno partecipato anche Fimmg e Simg, per instaurare una continuità di rapporti tra specialista oncologo e medico di famiglia. La spinta che viene dall’Europa cade dunque nel nostro Paese su un terreno già fertile”.   La Guide for Patients on Survivorship  è scaricabile al seguente link: http://www.esmo.org/content/download/117593/2061518/file/ESMO-Patient-Guide-Survivorship.pdf   Maria Rita Montebelli 11 settembre 2017
Quotidiano Sanità



13/09/2017
Anaao
Specializzazioni
Specializzazioni. La proposta Anaao: “Bisogna passare da un contratto formazione lavoro a un vero e proprio contratto a tempo determinato” Occorre anticipare l’incontro tra il mondo della formazione e quello del lavoro, oggi estranei l’uno all’altro, consentendo ai giovani medici di raggiungere il massimo della tutela previdenziale ed al sistema sanitario di utilizzare le energie più fresche. La soluzione consiste nella trasformazione del contratto di formazione-lavoro in contratto a tempo determinato con oneri previdenziali ed accessori a carico delle Regioni e nel conseguente inserimento dei giovani medici nella rete formativa regionale 12 SET - I conti ancora non tornano. Nonostante da tempo l'Anaao Assomed con ben tre studi pubblicati tra il 2011 e il 2017, i cui risultati sono diventati patrimonio dell’intero mondo professionale medico, chieda che vengano rivisti i numeri di accesso al corso di laurea in Medicina e Chirurgia e quelli dei contratti di formazione specialistica e delle borse di formazione in Medicina generale, la parola “programmazione” non sembra allignare nel vocabolario di chi, al MIUR, “dà i numeri”, nel senso reale (ma anche figurato) dell’espressione. Il richiamo all’attenzione sul tema non è uno sterile capriccio autocelebrativo, ma riflette la preoccupazione per il futuro del nostro SSN, in termini di sostenibilità e di qualità ed equità nell’accesso alle cure.   Con i tassi di iscrizione alla Scuola di Medicina e Chirurgia proposti ai tavoli ministeriali, valutando oltre che le iscrizioni ordinarie anche quelle disposte dai TAR degli anni passati, nel decennio 2017/2026 ad invarianza di programmazione (vedi figura 1) acquisiranno la laurea circa 96.000 degli attuali e futuri studenti. Se consideriamo anche i laureati che già oggi non trovano in Italia una offerta adeguata di formazione, valutabili in circa 10.000 medici, avremo complessivamente in tale lasso temporale circa 106.000 medici alla ricerca spasmodica di uno sbocco prima formativo poi occupazionale.     Ad invarianza di offerta formativa postlaurea annuale, attualmente ferma a circa 6100 contratti di specializzazione e circa 900 borse di formazione in Medicina generale, nel decennio 2017/2026 avremo almeno 36.000 medici a cui verrà negata la possibilità di completare il proprio percorso di studio, indispensabile per entrare nel mondo del lavoro. L’unica scelta che rimarrà praticabile per questi Colleghi sarà quella dell’emigrazione.   Gli imbuti formativi e lavorativi descritti, infatti, stanno inducendo di anno in anno una importante emigrazione di medici italiani verso altri paesi europei, Francia, Germania, Svezia, Danimarca, Regno Unito e Svizzera in particolare, oltre che verso gli Stati Uniti. Secondo dati Istat, i professionisti del settore sanitario che hanno chiesto al Ministero della Salute la documentazione utile per esercitare all’estero sono passati da 396 nel 2009 a 2363 nel 2014 (+ 596%).   Oramai siamo a circa 1000 laureati o specialisti che effettivamente emigrano ogni anno. Per l’Italia il costo della formazione per singolo medico si aggira intorno a 150.000 €. In termini economici, è come se regalassimo mille Ferrari all’anno agli altri paesi europei ed extra europei. Ovviamente il danno non è solo economico. Noi perdiamo talenti, intelligenze, sofisticati saperi professionali, sottratti per incuria alla sostenibilità qualitativa del nostro SSN e più in generale allo sviluppo scientifico e culturale del nostro Paese.   La carenza di futuri specialisti renderà ancora più grave il pieno dispiegarsi, dopo l’esaurimento dello scalone determinato dalla legge “Fornero”, del fenomeno, da noi descritto fin dal 2011, della “gobba pensionistica” dei medici dipendenti del SSN (vedi figura 2). Dal 2017 al 2026 acquisiranno i nuovi limiti per il pensionamento circa 50.000 medici dipendenti ospedalieri e dei servizi territoriali, secondo una stima prudenziale.Ad uscire dal sistema saranno in particolare i nati tra il 1951 e il 1960 che, come si evince dal grafico presentono le frequenze più alte (mediamente circa 6000 medici per singolo anno). Pertanto nel decennio 2017÷2026 l’uscita media dal SSN interesserà quasi il 50% dell’attuale dotazione, vista la composizione anagrafica, con una media di pensionamenti di circa 5000 unità/anno.     D’altra parte, vi sono aspetti organizzativi che giocano contro la permanenza in servizio, come la bassa probabilità di raggiungere posizioni elevate di autonomia professionale (solo l’8% dei dirigenti medici diventa direttore di struttura complessa), la mancata applicazione delle raccomandazioni contrattuali secondo cui ai medici con più di 55 anni di età si sarebbero dovuti evitare i turni di guardia notturna, le difficoltà crescenti di godere delle ferie e perfino dei turni di riposo giornaliero e settimanale previsti dalla legislazione nazionale e dalle direttive europee.   È evidente come un medico che non abbia ricevuto sufficienti gratificazioni professionali, costretto dalle attuali condizioni lavorative a svolgere turni di guardia notturni e una gravosa mole di lavoro straordinario, in condizioni di elevato rischio professionale, all’età di 65 anni, o prima se la sua situazione previdenziale glielo consente, anche accettando le penalizzazioni previste, decida di abbandonare il posto di lavoro e ritirarsi in pensione. Inoltre, i medici dipendenti del SSN una volta raggiunto il massimo della contribuzione pensionistica non hanno alcuna convenienza economica nel rimanere in servizio.   Mediamente solo il 70% dei medici specialisti sceglie di lavorare nel SSN come dipendente. Scelte diverse sono: convenzionamento con il SSN, libera professione, università/ricerca, privato accreditato e no, industrie del settore, lavoro all’estero. Nel prossimo decennio le uscite relative al personale medico universitario e agli specialisti ambulatoriali convenzionati sono attese in netto incremento per il manifestarsi anche in questi settori di una “gobba pensionistica”.     Il blocco del turnover rappresenta un ulteriore elemento che sta incidendo pesantemente sulle dinamiche di sostenibilità del nostro SSN. Il ricambio generazionale è fortemente rallentato e con esso quel trasferimento di conoscenze e capacità tecniche sostenuto dalla fisiologica osmosi tra generazioni professionali diverse. Nel 2017, se non cambiano le politiche di assunzione in servizio, l’età media dei medici ospedalieri sarà superiore a 54 anni, la più alta nel panorama europeo e la seconda al mondo dopo Israele (Dati Oecd 2015).   Sempre più improrogabile diventa un piano straordinario per il lavoro medico prima che sia troppo tardi, perché in sanità la risorsa umana è il principale fattore produttivo da cui dipende in larga misura la qualità del servizio.   Di fronte a questo disastro annunciato, da molto tempo con tenacia andiamo proponendo alcune correzioni: · Incrementare i contratti di formazione specialistica post-laurea portandoli da 6100 a 7500/8000 ogni anno per coprire il pensionamento nel prossimo decennio degli specialisti operanti nel SSN (dipendenti del SSN, dipendenti MIUR, specialisti ambulatoriali) sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo aumentando in particolare i contratti per le specialità ad impronta olistica (pediatria, chirurgia generale, medicina interna - vedi tabella 1 tratta dal nostro studio del 2014).   · Incrementare le borse di formazione in Medicina generale in modo tale da coprire il turn over che si prospetta molto elevato anche in questo settore (almeno 28.000 medici in quiescenza nel prossimo decennio).   · Riaprire una stagione di assunzioni di medici nel SSN, non solo per coprire totalmente il turn over ma anche per permettere la piena applicazione in Italia della normativa sull’orario di lavoro in vigore in Europa dal lontano 1993, come del resto prevede la Legge 161/2014.   · Rivedere il numero chiuso per l’accesso al corso di laurea in Medicina e Chirurgia in base alle reali necessità tenendo conto della dinamica pensionistica professionale, del cambiamento demografico ed epidemiologico della popolazione, dello sviluppo scientifico e tecnologico, dell’erogazione dei LEA, dei modelli organizzativi con proiezioni a 10, 15 e 20 anni.   In concreto, pensiamo che aumentare il numero degli studenti iscritti al corso di laurea in Medicina e Chirurgia, al di fuori da seri studi di programmazione che tengano insieme aspetti demografici, dinamiche pensionistiche, esigenze del sistema in termini di formazione, qualità e quantità del personale, non risolva il problema della prossima mancanza di medici specialisti perché i primi risultati si vedrebbero solo dopo 10-11 anni. Inoltre si rischia di ripetere, nel lungo periodo, il fenomeno della pletora medica.   La strozzatura è data dall’imposizione del titolo di specializzazione come requisito di accesso al sistema. Occorre, pertanto, anticipare l’incontro tra il mondo della formazione e quello del lavoro, oggi estranei l’uno all’altro, consentendo ai giovani medici di raggiungere il massimo della tutela previdenziale ed al sistema sanitario di utilizzare le energie più fresche.   La soluzione consiste nella trasformazione del contratto di formazione-lavoro in contratto a tempo determinato con oneri previdenziali ed accessori a carico delle Regioni e nel conseguente inserimento dei giovani medici nella rete formativa regionale. Recuperare il ruolo professionalizzante degli Ospedali rappresenta la strada maestra per garantire insieme il futuro dei giovani medici e quello dei sistemi sanitari.   Carlo Palermo Vice Segretario Nazionale Vicario Anaao Assomed Fonte.www.quotidianosanita'.it
Quotidiano Sanità



13/09/2017
Forum Mediterraneo della Sanita'
Emiliano
Forum Mediterraneo Sanità. Emiliano: “Senza i nostri pazienti, il sistema sanitario del Nord rischia di sbilanciarsi e di crollare” Il governatore ha aperto oggi a Bari il Forum 2017 Mediterraneo della Sanità. La sfida, ha detto, è dotare la sanità pugliese delle apparecchiature necessarie per la diagnosi e la cura, “soprattutto per le malattie oggetto di viaggi della speranza”. E’ una sfida “che significa anche privare le regioni settentrionali dei finanziamenti che ricevano dai viaggi della speranza”. Per Emiliano, “se ci riusciremo, il sistema sanitario del Nord rischia di sbilanciarsi e di crollare”. 12 SET - Il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano ha aperto questa mattina a Bari i lavori del Forum Mediterraneo della Sanità 2017, in programma oggi e domani, nelle sale del Nuovo Centro Congressi della Fiera del Levante. Innovazione e sostenibilità delle cure: le proposte da Sud, questo il tema delle due giornate di lavori, confronto, dibattito. “Con le risorse ed i mezzi disponibili - ha detto Emiliano a margine dei lavori - siamo costretti a fare i miracoli per mantenere elevati standard di assistenza e servizi efficienti e l’unico modo per farlo è investire sull’innovazione in particolare sulla telemedicina che consentirà di dotare il sistema dell’emergenza/urgenza della possibilità di stabilizzare tutti i pazienti acuti già durante il trasporto in elicottero o in ambulanza”. La sfida è quella di “dotare la sanità pugliese - ha aggiunto il Presidente Emiliano - di tutte quelle apparecchiature che sono necessarie per la diagnosi e la cura, soprattutto per le malattie oggetto di viaggi della speranza. Ci stiamo provando. E’ una sfida che significa anche privare le regioni settentrionali di quei finanziamenti che ricevano in forza dei viaggi della speranza da Sud verso Nord. Se riusciremo a curare qui i nostri pazienti, il sistema sanitario del Nord rischia di sbilanciarsi e di crollare. Si tratta di un cambiamento radicale e profondo rispetto a quanto è  sempre avvenuto nel nostro Paese”. Anche i processi innovativi possono essere oggetto di critiche e polemiche “ma su questi temi - ha proseguito Emiliano - è necessario un passo diverso perché siamo di fronte ad un’avventura comune. In questa ottica la legge sulla partecipazione varata dalla Regione è una leva  fondamentale che consentirà a tutti di offrire un contributo costruttivo e, se necessario, di intervenire sulle decisioni assunte e sui sistemi adottati”. “Andiamo avanti con umiltà e con caparbietà - ha concluso Emiliano - senza clamore, mantenendo la nostra rotta, portando a casa i risultati e continuando a innovare e ad allargare i processi partecipativi”. La prima sessione di lavori è stata presieduta da Giovanni Gorgoni, commissario straordinario di AReSS Puglia. “I fili conduttori di questa iniziativa - ha sottolineato - sono due: la proposta e la partecipazione. Mai come adesso, infatti, uno degli ultimi sistemi sanitari realmente universalistico, ha bisogno di sperimentare e suggerire nuove vie e mai come adesso la partecipazione può essere garanzia di eterogenità di proposta e di coerenza delle soluzioni con i bisogni reali”. Giancarlo Ruscitti, Direttore del Dipartimento Promozione della Salute della Regione Puglia ha sottolineato come “il piano operativo 2016/18 si basa fortemente sull’innovazione tecnologica e molte  delle soluzioni adottate sono pugliesi, sviluppate da pugliesi. Nel cambiamento non abbiamo bisogno di cercare altrove le soluzioni, le abbiamo in casa. Ieri abbiamo registrato e stampato 70mila certificati vaccinali, vuol dire che il sistema Puglia basato sull’anagrafe vaccinale digitalizzato e il sistema delle farmacie collegate ai nostri cup ha dato ai pugliesi un servizio importante e gratuito”. Fonte.www.quotidianosanita'.it
Quotidiano Sanità



13/09/2017
Rinnovo Ccnl
Incontri all'Aran
Rinnovo Ccnl Rinnovo Ccnl. Iniziati gli incontri all'Aran. Convergenza su nuovo Atto di indirizzo. I lavori proseguiranno su 3 tavoli tematici I Tavoli tematici su cui si è deciso di suddividere il prosieguo dei lavori riguarderanno: le nuove aree, classificazione e sistema degli incarichi; i fondi contrattuali; ed il problema dell'orario di lavoro. La prossima convocazione del primo tavolo tematico è prevista tra 10 giorni. 12 SET - Si è svolto stamane il primo incontro per il rinnovo contrattuale del personale dei livelli del Servizio sanitario nazionale. Dalle fonti sindacali abbiamo appreso che il Presidente dell'Aran Sergio Gasperini ha illustrato le linee fondamentali delllo specifico Atto di indirizzo che dovrà essere funzionale a facilitare, anche con la partecipazione dei lavoratori, dei professionisti e delle loro rappresentanze, l'evoluzione dell'organizzazione del lavoro in sanità, particolarmente dinamica ed innovativa. Iniziando dalla nuova e più congeniale riaggregazione dei profili nelle nuove aree sanitaria, sociosanitaria, amministrazione dei fattori produttivi e tecnico-ambientale, più aderenti al moderno concetto di salute come indicato dall'Oms. In questo quadro rientrano le nuove tipologie di incarichi non solo organizzativi e gestionali ma anche professionali prevedendo il professionista esperto e quello specialista. Si è registrata una sostanziale convergenza sia sui contenuti ma soprattutto sulla modalità di prosieugo dei lavori articolati in tavoli tematici: il primo sulle nuove aree, classificazione e sistema degli incarichi; il secondo sui fondi contrattuali; e, a seguire, sul problema dell'orario di lavoro.   La prossima convocazione del primo tavolo tematico è prevista tra 10 giorni. Fonte.www.quotidianosanita'.it
Quotidiano Sanità



13/09/2017
Orologio biologico
Per stare in forma
Orologio biologico Per stare in forma, meglio rispettare l’orologio biologico Rispettare l’orologio biologico, senza cercare cibo al di fuori dei momenti che ha fissato per il nostro organismo. È la ricetta per stare in forma ipotizzata da uno studio coordinato da Andrew McHill del Brigham and Women’s Hospital di Boston 12 SET - (Reuters Health) - Un gruppo  di ricercatori americani ha reclutato 110 studenti di età compresa tra i 18 e i 22 anni, per effettuare uno studio sui tempi del sonno e l’assunzione di cibo. I ragazzi dovevano completare un questionario sulle abitudini del sonno all’inizio dello studio, nonché tenere un diario giornaliero su sonno ed esercizio fisico. Inoltre dovevano indossare un monitor per consentire ai ricercatori di valutare il periodo di sonno- veglia. Per valutare l’assunzione di cibo, invece, i partecipanti erano stati invitati ad usare, per una settimana, un’applicazione per il telefonino che documentava e registrava le abitudini alimentari. Infine, i partecipanti sono rimasti una notte in ospedale per verificare a che ora cominciavano a salire i livelli di melatonina e valutare la composizione corporea, cioè massa muscolare e grasso. Il tempo in cui la melatonina cominciava ad aumentare era simile tra tutti i partecipanti, sia i più magri che quelli con una  percentuale superiore di  grasso corporeo. Tuttavia, quelli più grassi, inmedia 8, 7% inpiù nelle donne e 10,1% in più negli uomini,  consumavano la maggior parte delle caloriecirca un’ora prima del momento in cui cominciava ad aumentare la melatonina ai partecipanti più magri. Non si è invece  registrata alcuna relazione tra la composizione del corpo e l’orario dei pasti, la quantità d calorie e il tipo di cibo consumavano, l’esercizio o il livello di attività e la durata del sonno. I commenti “I livelli di melatonina  aumentano circa due ore prima dell’insorgenza del sonno abituale”, ha spiegato Andrew McHill. Sarebbe bene non  mangiare troppo a ridosso di quel momento, nè fare spuntini nel bel mezzo della  notte, perché, secondo l’esperto “questo è un momento  in cui la melatonina è alta e  l’orologio biologico sta promuovendo il sonno e il digiuno. Se gli spuntini notturno dovessero diventare  un’abitudine, si rischierebbe seriamente di prendere peso”. Fonte: American Journal
Quotidiano Sanità



13/09/2017
Laree nei paesi Ocse
Le lauree più gettlonate
Nei paesi Ocse le lauree più gettonate sono economia, gestione e giurisprudenza (23%), quelle scientifiche si fermano al 5%. Italia al quartultimo posto per laureati e spesa tra le più basse. Gli indicatori 2017 In Belgio, Repubblica Ceca, Grecia, Ungheria, Italia, Polonia e Stati Uniti, il campo più popolare di lo studio è quello delle arti e delle scienze umanistiche, delle scienze sociali, del giornalismo e delle informazioni. In Austria, Germania, Repubblica slovacca, la maggior parte degli adulti ha una laurea terziaria in ingegneria, mentre il settore più diffuso in Norvegia e in Svezia è la salute e il benessere. GLI INDICATORI OCSE 2017; LA SCHEDA DEI RISULTATI ITALIANI 12 SET - Nella maggior parte dei Paesi dell’OCSE, i titoli accademici più diffusi tra gli adulti sono quelli conseguiti in economia, gestione e giurisprudenza. In media nell’area dell’OCSE, il 23% dei 25‑64enni è titolare di una laurea in uno di questi tre campi di studio, rispetto al 5% in scienze naturali, statistica e matematica, al 4% nel campo delle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni e al 17% in ingegneria, produzione industriale e nel settore delle costruzioni. I nuovi iscritti all’istruzione terziaria fanno registrare una quota simile, indicando che l’interesse per questi campi di studio resta stabile. In Italia però le cose non vanno del tutto bene. La percentuale di adulti in possesso di una laurea come livello più alto d’istruzione è la seconda più bassa tra i Paesi dell’OCSE dopo il Messico e il tasso di conseguimento di una prima laurea è del 35%, il quarto tasso più basso dei Paesi dell’OCSE dopo l’Ungheria, il Lussemburgo e il Messico. L’analisi sull’istruzione 2017 è l’ultima pubblicazione tra gli Indicatori dell’OCSE, che ha analizzato la situazione di tutti i livelli di istruzione in tutti gli stati che fanno capo all’Organizzazione. In Italia solo il 18% dei 25-64enni ha completato gli studi di livello terziario, il 4% con una laurea di primo livello e il 14% con una laurea magistrale (secondo livello) o un livello equivalente. Questi bassi livelli d’istruzione terziaria possono essere in parte dovuti a prospettive insufficienti di lavoro e a bassi ritorni finanziari in seguito al conseguimento di un titolo di studio terziario (una percentuale inferiore del 21% rispetto alla media OCSE per gli uomini e del 35% per le donne). La media OCSE è due volte più elevata (37%) per questa coorte. Per i giovani adulti (25-34 anni) la differenza è più contenuta: in Italia il 26% ha conseguito una laurea rispetto al 43% in media nei Paesi dell’OCSE. La percentuale di 25-34enni con un titolo di studio superiore come più alto livello d’istruzione è cresciuta dal 10% nel 2000 al 26% nel 2016, un aumento di 16 punti percentuali in linea con la media OCSE. Anche sul versante della spesa per l'istruzione l'Italia non brilla. Dall’istruzione primaria all’istruzione terziaria in Italia si sono spesi in media circa 9.300 dollari  per studente nel 2014 contro una media Ocse di circa 10.800 dollari.   E la differenza è particolarmente forte nell'istruzione terziaria: la spesa per studente è stata di circa 11.500 dollari nel 2014 (di 7.100 se non si tiene conto delle attività di ricerca e sviluppo) contro una media Ocse superiore di oltre 3.900 dollari medi a studente.   Nel 2014, la spesa per ll’istruzione si è attestata al 4% del Pil in Italia, un rapporto molto inferiore alla media Ocse del 5,2% e inferiore del 7% rispetto al 2010. Solo cinque altri Paesi si sono collocati a un livello inferiore in termini di spesa in percentuale del Pil.   Il finanziamento è per l’87% da fonti pubbliche, l’11% dalle famiglie e il restante 2% da privati (imprese, istituzioni religiose e altre organizzazioni senza scopo di lucro). Il contributo finanziario delle famiglie e del settore privato è più significativo nell’istruzione terziaria e raggiunge il 35% della spesa complessiva per le istituzioni dell’istruzione a livello universitario, rispetto alla media OCSE del 30 per cento.   A livello Ocse invece rispetto al numero di studenti iscritti, la spesa è aumentata a un ritmo più rapido in tutti i livelli dell’istruzione, in particolare nel ciclo superiore di studi. Tra il 2010 e il 2014, la spesa per le istituzioni scolastiche del ciclo primario, secondario, postsecondario non terziario è aumentata del 4%, anche se nello stesso periodo si è registrata una lieve diminuzione delle iscrizioni degli studenti. All’opposto, la spesa totale per le istituzioni dell’istruzione terziaria è aumentata più del doppio rispetto al tasso d’iscrizione degli studenti nello stesso periodo, riflettendo la priorità data dai governi e dalla società all’istruzione superiore. Mentre la spesa pubblica è chiaramente aumentata per le istituzioni del settore dell’insegnamento, dall’istruzione primaria a quella terziaria, in media nei Paesi dell’OCSE essa non ha tenuto il passo con l’aumento del PIL tra il 2010 e il 2014. Ciò ha portato a una diminuzione del 2% della spesa pubblica destinata alle istituzioni dell’insegnamento in percentuale del PIL per lo stesso periodo. Analogamente, nella metà dei Paesi dell’OCSE, la quota della spesa pubblica dall’istruzione primaria a quella terziaria rispetto alla spesa complessiva delle amministrazioni pubbliche è diminuita tra il 2010 e il 2014.   Come in tutti i Paesi dell’OCSE, in Italia gli uomini rappresentano la grande maggioranza dei laureati di primo e secondo livello nel campo delle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni (79% di primo livello e 86% di secondo) e in ingegneria, produzione industriale e edilizia (69% e 73%). Le donne sono la grande maggioranza nel settore dell’istruzione, delle belle arti e delle discipline umanistiche, nelle scienze sociali, nel giornalismo e nell’informazione e anche nel settore della sanità e dei servizi sociali, sia nel primo che nel secondo livello di laurea, e anche in scienze naturali, matematica e statistica a livello magistrale, rappresentando più del 60% dei laureati in questi campi. L’Italia registra il divario di genere più pronunciato tra i Paesi dell’OCSE a riguardo delle lauree nel settore educativo: le donne rappresentano il 94% dei titolari di una laurea di primo livello e il 91% di una laurea di secondo livello. I tassi di occupazione degli adulti laureati in Italia variano dal 71% per gli adulti che hanno studiato nel campo delle belle arti all’84% per i laureati nel campo delle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni e all’85% per i laureati in ingegneria, produzione industriale e edilizia, e nel campo della sanità e dei servizi sociali. I tassi di occupazione sono più elevati nei settori in cui la maggior parte degli studenti è di sesso maschile, salvo nel settore della sanità e dei servizi sociali. Al livello secondario superiore di studi, quasi i due terzi (64%) dei titolari di un diploma professionale hanno studiato nel campo dell’economia aziendale, della gestione e delle discipline giuridiche, e nel campo dell’ingegneria, dell’industria manifatturiera e edilizia, registrando un tasso più alto rispetto alla media dei Paesi dell’OCSE (54%). Mentre i ragazzi sono sovrarappresentati nel campo dell’ingegneria, dell’industria manifatturiera e dell’edilizia (86%), le ragazze rappresentano la più ampia quota dei titolari di un diploma professionale nel settore della sanità e dei servizi sociali (74%), dei servizi (55%), dell’economia aziendale, della gestione e discipline giuridiche (52%). In Italia i campi di studio preferiti sono le belle arti e le discipline umanistiche, le scienze sociali, il giornalismo e l’informazione che registrano una quota complessiva del 30% tra i laureati, il tasso più alto tra i Paesi dell’OCSE, e le discipline a indirizzo scientifico (24%). La partecipazione alla scuola dell’infanzia (istruzione preprimaria) in Italia è tra le più elevate dei Paesi dell’OCSE con tassi d’iscrizione che raggiungono il 16% per i bambini di due anni e che superano il 90% per i bambini dai tre ai cinque anni di età. Tuttavia, in questo ciclo d’insegnamento, il livello di spesa (circa 6 500 dollari statunitensi per bambino) è inferiore alla media dell’OCSE. L’Italia ha un sistema d’istruzione professionale importante e si prevede che il 53% della popolazione conseguirà un diploma secondario superiore a indirizzo professionale nell’arco della propria esistenza. L'Ocse ruleva in generale che in Belgio, Repubblica Ceca, Grecia, Ungheria, Italia, Polonia e Stati Uniti, il campo più popolare di lo studio è quello delle arti e delle scienze umanistiche, delle scienze sociali, del giornalismo e delle informazioni. In Austria, Germania, Repubblica slovacca, la maggior parte degli adulti ha una laurea terziaria in ingegneria, mentre il settore più diffuso in Norvegia e in Svezia è la salute e il benessere. L’interesse per la scienza, la tecnologia, l’ingegneria e la matematica (le cosiddette discipline STEM) cresce, secondo l’Ocse,  nei livelli superiori d’istruzione, registrando una quota quasi due volte superiore di studenti titolari di una laurea nelle discipline STEM a livello del dottorato rispetto agli studenti titolari di una laurea di primo livello. Questi campi di studio sono preferiti dagli studenti universitari internazionali, con la quota più elevata, quasi un terzo degli studenti internazionali nei Paesi dell’OCSE, che preferisce le discipline a indirizzo scientifico. L’interesse per l’ingegneria è maggiore nei percorsi d’istruzione professionale secondaria superiore rispetto al livello terziario, a causa dei forti legami di questi programmi professionali con il settore industriale. Circa un terzo degli studenti è titolare di un diploma di istruzione secondaria superiore a indirizzo professionale nei settori ingegneria, produzione industriale e costruzioni – oltre il doppio della quota a livello terziario. I campi di studio a indirizzo tecnico‑scientifico (STEM – scienza, tecnologia, ingegneria, matematica) beneficiano dei più alti tassi di occupazione, riflettendo la domanda di una società sempre più orientata verso l’innovazione: i laureati nel campo delle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni possono puntare su un tasso di occupazione che supera di sette punti percentuali quello degli studenti laureati nel campo delle belle arti e delle discipline classico‑umanistiche, delle scienze sociali, del giornalismo e dell’informazione. Gli adulti con una laurea beneficiano di un ritorno sostanziale dell’investimento effettuato: essi hanno una probabilità superiore di dieci punti percentuali di trovare un lavoro e, in media, guadagneranno il 56% in più rispetto agli adulti che hanno conseguito solo un diploma secondario superiore. Sono i primi a riprendersi dopo le crisi economiche: i tassi di occupazione per i giovani adulti laureati sono tornati ai livelli pre‑crisi, mentre i tassi di occupazione delle persone che non hanno completato gli studi secondari superiori sono ancora diminuiti. Gli adulti laureati hanno meno probabilità di soffrire di depressione rispetto ai coetanei meno istruiti. Per questo motivo, i giovani adulti propendono sempre più spesso a proseguire gli studi che aumenteranno il loro livello di qualifiche e a non entrare direttamente nel mercato del lavoro alla fine della scuola dell’obbligo. Tra il 2000 e il 2016, la quota dei 20‑24enni che ha proseguito gli studi è aumentata di dieci punti percentuali mentre è diminuita di nove punti la percentuale di giovani della stessa fascia di età che lavorano. Fonte4.www.quotidianosanita'.it      
Quotidiano Sanità



13/09/2017
Clinical Risk management
Fondazione Pietro Paci
Clinical Risk management. Tutto in un click: è online il sito sul Rischio Clinico della Fondazione Pietro Paci Un esempio unico in Italia, è il primo sito dedicato interamente dedicato al Clinical Risk Management. Nato grazie alla Fondazione Pietro Paci, il sito raccoglie tutto il materiale necessario ad approfondire la tematica. Diviso in 4 sezioni è di facile consultazione anche per chi non ha ancora molta dimestichezza con il Rischio Clinico. IL SITO 12 SET - Il Clinical Risk Management, da oggi, è a portata di click. La Fondazione Pietro Paci ha dedicato un intero sito all’argomento. Si va dal materiale informativo, agli approfondimenti, attraverso articoli scientifici, video, recensioni, definizioni. Il sito è diviso in 4 sezioni, bibliografia, video, news e risorse e percorsi, per semplificare la navigazioni degli utenti.   Bibliografia Questa prima sezione raccoglie articoli pubblicati sul risk management, sulla tipologia degli eventi avversi, sulle tecniche di analisi e sulle sperimentazioni e revisioni sistematiche condotte su tale tema.   Video Qui sarà pubblicato materiale audiovisivo inedito con link di approfondimento.   News e risorse Una selezione di siti web di organizzazioni non governative e governative dalle quali si possono reperire risorse utili per comprendere i vari aspetti del risk management. Riferimenti anche a documenti e libri scelti per gli utenti.   Percorsi Una vera e propria bussola pensata per chi non ha ancora molta dimestichezza con il risk management o per chi vuole un rapido riferimento sulla terminologia e sull’inquadramento generale di un argomento, rendendo più agevole immergersi successivamente nelle altre sezioni. 12 settembre 2017 © Riproduzione riservata